In perfetta continuità con la lezione spettacolo sugli impressionisti di Marco Goldin in scena l’altra sera sempre al Nuovo, questo frizzante e divertente adattamento dell’Orphèe aux l’Enfer è sembrato completare il delineato orizzonte della temperie artistica della Parigi di metà ‘800.

La Ville lumiere, città dell’arte e della musica, in quegli anni ballava al ritmo delle arie di Offenbach. Un critico scriveva: si ride, si applaude, si grida al miracolo, nessuno resiste alla voglia di mettersi a ballare.

Il genio del compositore era universalmente riconosciuto, Gioacchino Rossini, per esempio, lo riteneva uno dei propri eredi naturali e lo definiva il Mozart degli Champs Elysee tanto che gli dedicò un famoso Petit caprice dans le style d’Offenbach al pianoforte.

Orfeo è una sua opera fondamentale e quando andò in scena la prima volta il 21 ottobre 1858 suscitò un incredibile clamore. Scriveva lo stesso Offenbach mentre lo stava componendo: Sarà un capolavoro da 200 rappresentazioni. La musica viene meravigliosamente. Non si sbagliava per niente, il successo fu immediato e clamoroso, venne ripetuto per 228 sere consecutive. Le repliche furono interrotte solamente perché gli esecutori sfiniti ed esausti si rifiutarono di proseguire senza una pausa che infine venne loro concessa.

In questo nuovo adattamento dal libretto, Il mito di Orfeo ed Euridice viene completamente stravolto e rivisitato trasformandolo quasi in una piece della commedia dell’arte, almeno così è stato pensato da chi ha curato la scoppiettante messa in scena di stasera. Il protagonista si dice Orfeo Orfei discendente di una dinastia circense, Euridice viene definita casalinga disperata, formano una coppia aperta piuttosto birichina, da qui nasce l’intreccio che coinvolge gli stessi dei altrettanto dissoluti.

A questo si aggiungono tutto un intercalare di battute durante i recitativi che sono sembrate davvero fuori luogo e ritagliate su quelle del Bagaglino di televisiva memoria. Orfeo ad un certo punto dice pensieroso: qui ci faccio la figura di quello che viene da Creta, il cretino. Oppure ancora l’inferno viene definito La Jesolo dell’Ade dove ci sono molti peccaminosi Night Clubs per fare quattro salti in padella. E ancora viene evocata una bolgia dove i dannati sono straziati dall’ascolto in eterno della discografia completa di Gigi D’Alessio; Caronte è raffigurato come un gondoliere veneziano con problemi di etilismo, e via di seguito. Certo gli autori in questo modo sono riusciti a strappare grasse risate dal pubblico e applausi incontenibili ma si ha l’impressione che l’intento del librettista di Offenbach non fosse solo esattamente quello.

La scena che sopra tutte le altre è sembrata assolutamente convincente è stata quella nella quale Giove in forma di moscone seduce la già molto disponibile Euridice in inferno, ed è tutto dire.

L’elemento musicalmente più rilevante dell’intera composizione è il galop, lo sfrenato ballo luciferino che più volte si scatena durante l’esecuzione dell’opera in un ballo che è passato alla gloria con il termine Can Can. Il compositore racchiudeva in quelle note i balli e i suoni tipici dei locali malfamati d’allora. A distanza di 150 anni quell’allegria senza limiti è ancora in grado di contagiare la sala di un teatro e il corpo di ballo stasera l’ha dimostrato ampiamente

L’opera in origine aveva il dichiarato intento di mettere alla berlina i tanti vizi e le scarse virtù della società francese ai tempi dell’imperatore Napoleone III mentre si preannunciava la disfatta di Sedan.

In questa messa in scena a cura della Compagnia Teatro Musica Novecento non traspare quasi niente di quegli intenti e di quell’epoca. La carica satirica, ironica, dissacratoria e spesso grottesca dell’originale è stata sostituita, anche legittimamente, dal puro piacevole intrattenimento a volte però, davvero greve e salace.

La quasi forzata attualizzazione del testo e dell’intreccio ha particolarmente nuociuto ai significati più profondi dell’opera. La pungente e divertita satira del potere dell’originale che paragonava la tronfia onnipotenza degli dei dell’Olimpo a quella delle corti europee disposte a tutti i compromessi possibili per soddisfare le proprie voglie e i propri interessi, appare in questo senso completamente svuotata anche se alcune battute sembrano alludere ai centri del potere contemporaneo, si citano, a questo proposito: L’Olimpo pentastellato e la Lega del Peloponneso. Alcuni allora criticarono con disprezzo questo sottile intento di Offenbach definendo la sua opera come: Musica da trivio, da carnevale e da ballo mascherato, musica cenciosa. Questa sera, anche se non ce n’era bisogno, si è dimostrato il contrario, tanto è vero che l’opera regge e convince anche se sottoposta a pesanti rimaneggiamenti come in questo caso.

Le scene e le luci di questa edizione sono state piuttosto efficaci nella loro semplicità e immediatezza così come i costumi in alcuni casi particolarmente elaborati il tutto a cura di Stefano Giaroli. Tra gli interpreti di particolare bravura Alessandro Brachetti (Orfeo) anche regista dello spettacolo e ottimo intrattenitore che più volte ha apertamente cercato e ottenuto il plauso del pubblico, senza dimenticare Antonio Colamorea (Plutone) dalla voce potente e dalla grande presenza scenica. Tra le interpreti femminili incantevole Susie Georgiadis nei panni di Euridice e Elena Rapita in quelli di Giunone. Una menzione a parte per Silvia Felisetti che interpretava lo strano personaggio di Opinione Pubblica attraverso il quale Offenbach intendeva criticare ferocemente il suo tempo fatto di maldicenze, di convenienze politiche, culturali che venivano manipolate dai mezzi d’informazione. Opinione pubblica è più forte degli stessi dei che per non scontentare la società e continuare a godere dei propri privilegi si prestano ad ogni tipo di inganno e di sopruso, esattamente come facciamo noi uomini. Un personaggio di stretta attualità che avrebbe meritato un rilievo maggiore.

L’orchestra sinfonica Cantieri d’Arte diretta in modo attento dal maestro Stefano Giaroli ha fornito un supporto musicale all’altezza della situazione, senza mai essere ridondante e sopra le righe. Scroscianti gli applausi finali.

Di certo, è stata una serata piena di verve e simpatia riassunta all’uscita dal commento di un’eccentrica signora in abito da gran sera con boa piumato attorno al collo che sospirava felice: Ah! Finalmente qualcosa di leggero e divertente, non aveva tutti i torti, però, come è stato detto nel corso dello spettacolo Mala tempora currunt.

© Flaviano Bosco per instArt