Non è certo uno scritto semplice, “Platonov”. Già denso di quell’estrema complessità dei personaggi, apparentemente quotidiani ma che rivelano pian piano sfumature emozionali dai colori sempre più vivi, tipici dello scrittore russo. E con in più quella foga tipica delle prime opere -Platonov è stato scritto da un Cechov giovanissimo, tra il 1880 e il 1881- che porta a riempire un testo di moltissimi, quasi troppi personaggi, riferimenti, idee.
L’azione si svolge nella provincia della campagna russa, in una tenuta che ha conosciuto tempi migliori. Qui si incrociano le esistenze di un gruppo di amici che tra fiumi di vodka riempiono così le loro vuote serate e vite. Alla padrona di casa Anna Petrovna e al di lei figliastro Sergej Pavlovic Vojnicev -giovane artista teatrale pieno di entusiasmo- si aggiungono il ricco Porfirij Semenovic Glagol’ev, innamorato della padrona di casa, e il di lui figlio, il cinico medico Kyril convinto che tutto nella vita si possa comprare col denaro. Poi ovviamente Platonov stesso, con la moglie Sasha. A completare il gruppo la leggiadra Sofja, appena sposata da Sergej e per l’occasione presentata dall’innamorato marito al resto degli amici. Non voluto e malvisto, comparirà più tardi anche Osip, piccolo criminale che -nonostante gli inviti ad andarsene- rimarrà a gravitare attorno alla villa e giocherà un ruolo importante nel finale.
Ma quella che può sembrare inizialmente una semplice e allegra occasione conviviale è destinata a crollare presto, quando le disillusioni e i dolori di ciascuno prenderanno il sopravvento, mostrando quanto ciascuno di loro sia mosso da una disperata ricerca di amore. Al centro di questo crollo è Platonov: l’unico che sin dall’inizio si mostra disincantato, cinico, pronto al litigio e senza la paura di definirsi sconfitto. Atteggiamento che al principio susciterà l’imbarazzo e la rabbia altrui (d’altronde non è facile continuare a nascondere le proprie delusioni dietro una facciata di allegria quando qualcun altro te le sbatte in faccia). Ma che detonerà definitivamente quando apparirà Sofja: lei e Platonov vissero infatti un’intensa storia d’amore negli anni universitari e il rivedersi risveglierà in entrambi una passione avvelenata da sensi di colpa nei confronti di Sergej, rispettivamente marito e migliore amico. Nel corso della serata anche Ana Petrovna -che continua a tenere sulle spine il ricco pretendente Porfirij per semplice interesse economico, senza dare mai una risposta alle sue avances- rivelerà a Platonov il suo amore per lui. Al centro di un triangolo di donne che lo desiderano Platonov non troverà altra soluzione che fuggire, nascondendosi con lucidità da una felicità che sa essere a un passo ma che sente di non meritare. E trascinerà nel gorgo della disperazione tutti gli altri: dalla moglie Sasha, che scoprirà entrambi i tradimenti del marito; ad Ana Petrovna, che non sa darsi pace nel vedersi rifiutata pur sapendo che Platonov ricambia i suoi sentimenti; a Sofja, che mette in gioco la sua vita lasciando il marito per Platonov ma viene poi da questi abbandonata quando avrebbero dovuto partire assieme.
Messa a confronto con un’opera così complessa, la compagnia del “Mulino di Amleto” decide di scombinare le carte, stravolgendo molti degli aspetti del testo originale ma riuscendo comunque a portare avanti lo spirito di Cechov e a colpire duro la platea.
Ciò viene raggiunto innanzitutto attraverso un continuo abbattimento della “quarta parete”, con soluzioni sceniche e di recitazione che fanno sentire lo spettatore come parte integrante e viva della scombinata e sfortunata serata nella villa. All’entrata nella sala gli attori sono già sul palco a chiacchierare ed alcuni di loro accolgono gli spettatori offrendo bicchierini di vodka. Lo stesso tecnico del suono fa parte della scena, con la sua console sul palco e con una piccola parte recitata all’inizio dello spettacolo. Spessissimo gli attori si rivolgono direttamente agli spettatori, sporgendosi sul proscenio e guardandoli negli occhi. In alcune occasioni vanno a sedersi tra il pubblico, con anche un appassionato bacio di Anna Petrovna a un fortunato spettatore della prima fila. Che certamente ha provocato non poca invidia negli altri uomini seduti in sala. Ad aiutare in ciò anche la cornice sempre intima della Sala Bartoli, con palco e platea vicinissimi e sullo stesso piano, senza pedane o altri tipi di divisioni fisiche, a formare un unicum attori-spettatori.
Per quanto riguarda gli atti, quelli dell’opera originale vengono fortemente distorti: ampio spazio viene dato ai primi due (quelli che si svolgono nella villa), mentre il terzo e il quarto vengono compressi in una voce narrante sbrigativa e che fa saltare subito alle scene finali, con Platonov rinchiusosi nella sua casa e visitato a turno dalle tre disperate donne della sua vita. Scelta che da un lato provoca smarrimento nello spettatore ma dall’altro alza certamente l’impatto emotivo, portando d’improvviso da una situazione che sembrava risolversi (con conseguente sospiro di sollievo interiore) ad un’improvvisa ricaduta nel disastro.
Va ora specificata una cosa importante: l’abbondanza di parole gravi e negative usate finora può far pensare ad uno spettacolo pesante, dall’atmosfera greve, drammatico. Non è in realtà così: il Mulino di Amleto pare rifarsi al noto aneddoto in cui Cechov rimprovera Stanislavskij per il mettere in scena i suoi scritti come puri drammi, rendendo impossibile allo spettatore ogni tipo di riso o sorriso. E porta sul palco momenti di ironia davvero gustosi in cui si sorride sinceramente. Soprattutto grazie a una Sofja che per la prima parte della cena si muove soave, leggiadra, “svampita”. E che riesce a rendere leggera anche una scena fortemente cinica come quella in cui lei si stupisce del fatto che Platonov sia diventato “solo” un maestro elementare, sbattendogli così in faccia il fatto di essere un fallito.
Di certo c’è un costante mutamento nell’atmosfera, che dal sarcasmo e dal lieve sorriso passa a toni sempre più cupi mentre ogni personaggio rivela i suoi demoni interiori. Ma non si rinuncia mai ad inflessioni più leggere se non -giustamente- nelle scene finali, dove Platonov si trova costretto a fare i conti con le sue continue scelte autodistruttive e il suo costante scappare di fronte ad ogni ipotesi di felicità. Con un colpo di coda che ancora una volta vuole distanziarsi totalmente da Cechov: la scena infatti si ferma quando Sofja punta la pistola contro Platonov. Ed Osip come voce narrante dichiara che “normalmente Sofja spara a Platonov. Normalmente Platonov muore. Normalmente la villa viene venduta. Ma non stasera. Questa sera bisogna continuare a vivere”.
Molto buona la prova di tutto il cast. Fantastico Michele Sinisi nei panni di Platonov, che nonostante alcune imperfezioni lessicali riesce a restituire un uomo profondamente tormentato, che agli occhi dello spettatore passa da figura positiva a profondamente negativa: da un’aura quasi paladinesca (nel suo essere l’unico che durante la festa ha il coraggio di ammettere la propria inettitudine e la propria sconfitta) a quella buia di creatura schiacciata dal rinchiudersi nell’autocompatimento. Risulta davvero facile odiarlo nelle ultime scene per la sua cecità al dolore delle donne e per l’egoismo mostrato fino all’ultimo minuto.
Applausi anche per Barbara Mazzi e Roberta Calia: la prima sa far passare Sofja da figura eterea e spaesata a donna decisa a riprendere le redini della propria vita in modo convincente. La seconda è bravissima a donare ad Ana Petrovna una sensualità prorompente e disperata. Raffaele Musella/Sergej sa essere un vero e proprio sole all’interno della festa nella villa, con un entusiasmo concreto e bambinesco che fa da contraltare alla crescente inquietudine degli altri. E’ inoltre molto bravo a passare più volte bruscamente dalla risata ad una serietà venata di pazzia nella scena delle minacce con la pistola. Cosa che fa un po’ rimpiangere il fatto che la disperazione di Sergej -per la rivelazione di Sofja in merito al suo amore per Platonov- non venga portata in scena ma lasciata alla voce narrante: sarebbe stato interessante vedere la prova di Musella anche in quell’occasione.
Ruoli con meno spazio ma non meno importanti per gli altri: Stefano Braschi è un ricco Glagol’ev tanto lascivo e tentatore con Ana Petrovna, quanto suddito del proprio figlio. Angelo Maria Tronca un Kyril che comanda il proprio padre, organizza il pestaggio di Platonov ma è anche terribilmente goffo e sopra le righe (gustosissima la scena del maldestro tentativo di seduzione di Ana Petrovna). Rebecca Rossetti una Sasha lasciata purtroppo troppo in disparte durante la festa ma che sa dare un’ottima prova nel suo ultimo incontro con il marito, quando da sfogo a tutta la sua rabbia e al suo disgusto per ciò che Platonov ha fatto alla sua famiglia (i due hanno un figlio). Yuri D’Agostino è un Osip estremamente efficace, che pur rimanendo sempre a bordo scena risulta molto presente, complice anche il fatto di essere la voce narrante delle scene non rappresentate.
Luca Valenta / ©Instart