“The last five years” è un musical più di lunga data di quanto si possa credere. La sua prima rappresentazione risale al 2001, al Chicago Northlight Theatre, e riscuote recensioni generalmente buone anche se non entusiastiche. Sembra uno dei tanti musical destinati a scomparire in poco tempo, eppure replica dopo replica ottiene sempre più consensi. Nel 2005 passa i confini degli Stati Uniti approdando in Germania e sarà solo l’inizio di una lenta conquista dei teatri di tutta Europa, fino ad arrivare a Israele e San Paolo in Brasile.
E da ieri sera anche a Trieste, alla sala Ridotto del Teatro Sloveno, per la regia di Jasmin Kovic. Un allestimento che -lo diciamo subito- ha convinto appieno, mostrando alcune soluzioni sceniche affascinanti che non solo non rovinano lo spirito dell’opera originale ma anzi ne sanno sottolineare l’amarezza e la tristezza di fondo, il cui retrogusto è presente dalla prima all’ultima canzone.
Per poter capire meglio è però necessario tratteggiare la storia e soprattutto la costruzione scenica del musical originale. E’ la storia degli ultimi cinque anni di Cathy e Jamie, lasso di tempo nel quale si consuma la loro storia d’amore. Non si preoccupi chi non vuole “spoiler” e anticipazioni: il fatto che la loro storia nasca e si spenga in quel periodo così breve è chiaro sin dalla prima canzone, a causa del particolare modo di narrare l’intera vicenda. I due protagonisti vivono infatti sul palco due linee temporali diverse ed opposte: Cathy rivivrà quegli anni alla rovescia, partendo dalla disperazione dopo che Jamie se n’è andato di casa per procedere a ritroso nel tempo fino alla voglia di rivederlo dopo il loro primo appuntamento. Viceversa, Jamie ripercorrerà il loro amore nel normale senso del tempo.
Questa scelta risulta certamente spiazzante all’inizio ma è estremamente efficace nel disegnare un’enorme distanza tra i due protagonisti, e per vari motivi.
Prima di tutto, ogni brano viene cantato sempre da uno solo dei due amanti, senza duetti. Non c’è quindi dialogo o scambio di opinioni: ogni pezzo diventa un monologo in merito al proprio modo di vedere la loro storia d’amore, senza mai cercare di capire davvero l’altro. Se a ciò si uniscono l’alternanza tra Cathy e Jamie nel prendere la parola e la progressione nelle emozioni dominanti dei loro racconti (dalla disperazione alla gioia lei, dalla speranza alla rassegnazione lui), si ha brano dopo brano una continua altalena di sensazioni. Che fanno smarrire lo spettatore, diviso tra il domandarsi “come può finire così?” e il cercare un colpevole (o “più colpevole dell’altro”) che in realtà non c’è.
L’allestimento al Teatro Sloveno mette a segno un punto in più, deviando dalla scrittura originale, in cui quando uno dei due amanti canta l’altro scompare dal palco. Nella regia di Kovic i due sono sempre entrambi in scena: vivendo però in due istanti temporali diversi non c’è mai -né sarebbe possibile- contatto tra loro. Quando l’uno canta, l’altro è impegnato in altre faccende o semplicemente si siede a fissare il vuoto. Nel muoversi tra gli elementi della scenografia a volte i due si passano vicini, quasi si sfiorano, eppure sono distanti. Anche quando il brano è rivolto direttamente all’altro, chi canta lo fa rivolto al pubblico pur avendo a fianco l’oggetto del suo canto. E ciò aumenta a dismisura quel senso di solitudine che si può vivere pur essendo in una coppia e che inevitabilmente non può che portare alla dissoluzione di una storia d’amore.
Questa scelta eleva inoltre al massimo il brano centrale del musical, che funge da sola eccezione a questo strano andirivieni nel tempo. Nel loro procedere in senso inverso le due linee temporali si incontrano infatti una e una sola volta: nella scena del matrimonio di Cathy e Jamie. Certamente il brano più romantico dell’intero spettacolo in quanto il solo in cui i due finalmente si avvicinano, si toccano, si guardano. E cantano assieme.
Già questo basterebbe a commuovere, ma è innegabile come l’effetto dei loro sguardi che si incrociano per la prima volta sia amplificato di molto dal fatto di averli visti fino a quel momento sfiorarsi per quasi un’ora di spettacolo senza però mai “vedersi” davvero.
Complessivamente molto buona la prova sia dei due protagonisti che dei musicisti che li hanno accompagnati dal vivo. Va segnalata solo una generale incertezza nei primi brani (non relativa a qualcuno in particolare ma che ha piuttosto comunicato una sorta di “fase finale di rodaggio” per tutti), assolutamente comprensibile dato che si trattava di una prima assoluta. E che anzi per assurdo è profondamente in linea con quanto voluto originariamente da Jason Robert Brown. Che ha più volte annotato gli spartiti originali con indicazioni per suonare “con esitazione”, in quella che avrebbe dovuto essere una storia che parte piano, con timidezza, ma conquista sempre più col procedere dei brani. Cosa che effettivamente accade.
Bene gli attori: hanno convinto sia Patrizia Jurinčič Finžgar (Cathy) che Danijel Malalan (Jamie), bravi nel saper mantenere il sottile equilibrio creato da Brown. Il musical vuole infatti raccontare due punti di vista diversi, due modi di vivere la fine di una relazione senza dividere in buoni e cattivi. Va però detto che si può incappare facilmente nella trappola di far pendere leggermente questa bilancia dalla parte di Jamie: per come l’opera inizia con la disperazione di Cathy; per come nelle scene finali venga svelato il tradimento di lui; per come Jamie venga spesso mostrato come un uomo che pensa più alla carriera che all’amore; per come lui stesso (dopo uno dei brani più “veri” in cui cerca di far capire alla moglie che crede sempre in lei) afferma che lui non rinuncerà ai propri sogni solo perché lei non è in grado di reagire al non avverarsi de suoi.
Serve quindi una notevole sensibilità da parte degli attori per non muovere troppo il piatto della bilancia e non trasformare lei in vittima e lui in colpevole. Elegante la prova della Jurinčič: la sua Cathy è delicata, quasi eterea anche nei momenti di maggior tristezza ma sa prendere vigore man mano che le scene si susseguono (e quindi il tempo scorre all’indietro, per lei), a recuperare quella voglia di sfondare, di “essere qualcuno” a cui Jamie fa appello in alcune canzoni. Vigore mai debordante però, a trasmettere con efficacia l’animo di una persona che vorrebbe ribellarsi all’essere solo la “spalla” (“la moglie di uno scrittore”), diventare qualcosa di diverso ma che al contempo non ha la forza o il coraggio per andare fino in fondo.
Altrettanto convincenre il lavoro su Jamie fatto da Malalan: il suo sorriso affabile, il suo saper essere sornione (ben dimostrato nella scena in cui scende in platea per offrire da bere al pubblico) sanno restituire al personaggio quella dose di umanità necessaria per non trasformarlo agli occhi dello spettatore nell’uomo “tutto carriera” che non è.
Ottima anche la parte musicale, che sotto la direzione di Andrejka Možina ha proposto degli arrangiamenti convincenti e ben orchestrati in cui tutti gli strumenti hanno saputo dire la loro senza però spiccare eccessivamente sugli altri ed anzi amalgamandosi bene. Merito certamente di un gruppo di ottimi musicisti (Sebastiano Frattini, Irene Ferro-Casagrande, Mariano Bulligan, Metteo Bognolo, Luca Emanuele Amatruda oltre alla stessa Andrejka Možina) che ben sanno dialogare tra loro e con gli attori, senza prevaricare mai questi ultimi. E complice anche un’acustica di sala che ha sorpreso per qualità, soprattutto essendo stata una prima assoluta con pubblico in sala (quindi con condizioni acustiche diverse da quelle con cui i musicisti normalmente provano).
Quella di “The last five years” è una scelta certamente coraggiosa per il Teatro Sloveno: dopo diversi spettacoli di teatro musicale è la prima volta in cui realizza l’adattamento di un musical americano, per giunta in una versione “da camera”. Che si è rivelata però una dimensione ideale per ospitare una vicenda così intima.
Dopo l’anteprima per la stampa, “The last five years” debutterà ufficialmente stasera 8 febbraio alle 20.30. Sarà possibile rivederlo anche domani e poi dal 14 al 24 febbraio (con pausa solo il giorno 20).
Lo spettacolo è in sloveno con i consueti sovratitoli in italiano.
Luca Valenta / ©Instart