Formidabile messa in scena al teatro dell’opera di Trieste di uno dei capolavori del belcanto italiano tra Classicismo e Romanticismo. Scenografie e costumi eccezionali, l’efficace prova dei cantanti ed una direzione salda e senza eccessi, hanno reso la composizione del bergamasco Donizetti scintillante e regale.
“Buon popolo cristiano, sono venuta qui a morire secondo la legge, poiché dalla legge sono stata condannata a morte, e quindi non mi opporrò. Non sono qui per accusare alcuno, né per dire niente a riguardo delle accuse e della condanna a morte, ma per pregare Dio affinchè salvi il re e gli consenta di regnare a lungo su di voi, perchè mai vi fu un principe più dolce e misericordioso di lui: e con me egli è sempre stato un sovrano buono e gentile. E se qualcuno interverrà nella mia causa, io gli chiedo di giudicare al meglio. E così prendo congedo dal mondo e da tutti voi, e desidero vivamente che tutti voi preghiate per me. O Signore, abbi pietà di me, a Dio raccomando la mia anima.” Poco dopo il boia francese Rombaud le staccava di netto il capo con un sol colpo di spada, meravigliando tutti i presenti per la compostezza e la rapidità del gesto.
Moriva così Anna Bolena, una delle donne più celebri e discusse della storia inglese, moglie di Enrico VIII che 13 anni prima, innamoratissimo, per poterla sposare in seconde nozze, non esitò a separare la chiesa anglicana dal potere di Roma.
Al teatro Verdi, un sipario rosso sangue accoglieva gli spettatori per una messa in scena di una delle opere più singolari del panorama del bel canto.
Dal pubblico si gridava già “Bravo!” all’amatissimo direttore già prima che l’ouverture si annunciasse sulle note dell’ottavino.
L’atmosfera era decisamente elettrica e carica di attese, fortunatamente priva di tutta quella voglia di polemica oggi tanto di moda nei teatri d’opera italiani, nei quali sembra che non si vada ad ascoltare la musica e il canto, ma ad accapigliarsi per futili motivi. Anche se è spiacevole, bisogna farsene una ragione perchè anche questo fa parte del carattere melodrammatico degli italiani che l’opera ha sublimato nei suoi intrecci.
Il sipario si alzava su una notte argentea in un interno sfarzoso.
L’ouverture ha quel tanto di bandistico con piatti e ottoni che fa tanto strapaese, ma che contribuisce inevitabilmente a creare un’atmosfera luccicante.
Il paggio innamorato Smeton dormiva riverso sul trono, mentre passavano le varie “incarnazioni” del caratterino della regina di cui si è sempre raccontato, di tutto e il suo contrario (strega, prostituta, malata, deforme, paurosa, ingenua, sfacciata, timida, manipolatrice, ecc.); sfilavano così diverse comparse tutte molto avvenenti, di bianco vestite, quasi a passo di danza; tutte potrebbero essere lei ma nessuna lo è davvero.
Non sapremo mai veramente quali emozioni passassero nel cuore della seconda sfortunata moglie di Enrico VIII, la musica può raccontarci una storia, possiamo anche non credere ai dettagli, ma nessuno meglio di Donizetti ha saputo rendere quei sentimenti che diventano i nostri ad ogni nuova rappresentazione.
Felice Romani (1788-1865) che scrisse l’ottimo libretto dell’opera dai toni shakesperiani riassunse perfettamente l’intreccio nel suo “Avvertimento”:
“Enrico VIII, Re d’Inghilterra, preso d’amore per Anna Bolena, ripudiò Caterina d’Aragona, sua prima moglie, e quella sposò; ma ben tosto di lei disgustato, e invaghito di Giovanna Seymour, cercò ragioni di sciogliere il secondo suo nodo. Anna fu accusata di aver tradita la fede coniugale, e complici suoi furono dichiarati il conte di Rochefort suo fratello, Smeton musico di corte, ed altri gentiluomini del Re.”
La lama del boia non tardò a far rotolare le teste nella cesta del patibolo. Non andò troppo bene nemmeno alla sua ex dama di compagnia Giovanna Seymour, pur amatissima dal popolo e dal monarca che potendo scegliere su sei, si fece inumare accanto a lei. Jeane Seymour morì di setticemia dopo aver partorito un figlio maschio destinato a diventare, a dieci anni, Edoardo VI d’Inghilterra e a morire solo sei anni dopo.
L’opera di Donizetti dichiaratamente si discosta dalla verità storica, quale che sia. Il suo intento principale è quello di mostrare il dramma interiore di una donna di certo ambiziosa ma anche lacerata e vinta dall’aver rinunciato all’amore vero per le sue brame di potere. L’autore ci mostra una figura femminile tutt’altro che astratta e ideale che si fa trascinare e vincere dalle passioni terrene fino alla follia e alla rovina di se.
La regia dell’allestimento triestino è quella ormai storica del grandissimo e compianto Graham Vick, andata in scena la prima volta all’Arena di Verona nel 2007, ripresa una prima volta a Trieste già nel 2012. La scelta non poteva essere migliore; la messa in scena è ancora potente e non sembra invecchiata di un giorno. Merito di certo anche delle meravigliose scenografie e degli incredibili costumi di Paul Brown, ma anche del nuovo cast e del maestro concertatore e direttore Francesco Ivan Ciampa giustamente idolatrato dal pubblico. L’orchestra del Verdi, sotto la sua bacchetta, a dir poco, scintilla, senza mai eccedere nei timbri e senza sovrastare le parti cantate.
Sbalorditiva è stata la prova di Sara Cortolezzis nei tragici panni della protagonista, con insuperabili toni di drammaticità e cupezza nelle scene finali della pazzia del III atto. Altrettanto efficace la soprano Alessia Nadin che ha fatto vivere una Giovanna Seymour sincera e dispiaciuta, vinta solo dall’amore. Impressionante la scena del celeberrimo duetto con Anna Bolena, naturalmente sublime per le voci e le musiche, ma ancora più marcatamente drammatico grazie alla sapiente coreografia durante la quale la Nadin, continuando a cantare con voce limpida e chiara, striscia letteralmente ai piedi della regina tradita in una sequenza visivamente e musicalmente di una bellezza quasi insostenibile.
Il basso Riccardo Fassi ha impersonato un Enrico VIII privo della solita pesantezza con la quale viene solitamente rappresentato il personaggio. La sua voce agile, una buona presenza scenica e gli incredibili costumi hanno reso la sua parte meno tetra e la sua funzione ineluttabile come quella di un destino già scritto. Anna Bolena nel dramma è schiacciata dalle coincidenze, costretta da eventi che non ha potuto controllare, ma paga un errore che lei stessa ha commesso.
Teneramente innamorata di Lord Riccardo Percy che, anche se non fu certo il primo come sostiene Donizetti, fu il grande amore della sua vita, non ha esitato un attimo ad abbandonarlo per soddisfare le lubriche voglie del re e le proprie. La messa in scena di Graham Vick, staccandosi dal canone di Luchino Visconti e della suo leggendario allestimento scaligero del 1957 con Maria Callas e la Simionato, non calca troppo la mano sull’eroina tragico-romantica restituendoci una donna in preda ai dubbi, vera e reale a cui la voce della Cortolezzis regala ancora più consistenza e tridimensionalità. Il regista riassunse la vicenda con una punta di cinismo: “Due donne che si servono del letto per arrivare al trono ed un uomo che usa il trono per arrivare al letto.”
Per niente di seconda fila lo Smeton impersonato en travesti dalla mezzo-soprano Veta Pilpenko, straordinariamente convincente nella sua ingenuità con la sua bionda figura e la passione dimostrata nei toni della serenata sostenuto dalle celestiali note dell’arpa che dava voce al suo liuto di scena.
Mentre si alzava il sipario rosso sangue appariva una scena cupa che si stagliava su un fondale scuro che la faceva risaltare nella sua drammatica luce già da subito. Due troni vuoti riassumevano simbolicamente il sistema di potere con i suoi vertici sempre in precario equilibrio. Un altro elemento d’arredo che ritorna più volte nella scenografia è il letto a baldacchino nella camera privata di Anna che metaforicamente è campo di battaglia assediato, vinto e infine deserto.
Le trovate di grande effetto non si sono certo esaurite con il ruotare delle pedane o i cambi scena, molto appropriato è sembrato l’uso del coro che fa sentire la presenza del popolo e della storia su cui si stagliano le vicende personali dei protagonisti come nella tragedia antica e poi nel dramma elisabettiano.
Non tutto, naturalmente, è in tinte fosche; visivamente risulta molto divertente la scena di caccia del secondo atto con Anna e Enrico che duettano montando due enormi cavalli come alle giostre, o meglio nella rievocazione di una festa barocca.
Inquietante nel terzo atto, la colossale spada che incombe su tutti i presenti, tagliando in due la scena. Non serve nemmeno sforzarsi troppo per farsi venire in mente il personaggio della leggenda greca ricordata da Cicerone: “Nel mezzo di questo sfarzo Dionigi il tiranno ordinò che fosse calata dal soffitto, attaccata ad un crine di cavallo, una spada splendente, in modo che incombesse sulla nuca di quell’uomo felice di nome Damocle”.
Sul palcoscenico, nell’atto finale della pazzia di Anna Bolena che è costretta ad accettare di essere stata estromessa dal trono dalla propria dama di compagnia Giovanna, sembrava nevicare sangue, le ancelle nere passavano sullo sfondo in un effetto scenico meravigliosamente tetro e pauroso.
“Chi può vederla a ciglio asciutto e non sentirsi spezzare il cuor or muta e immobile qual freddo sasso”.
Infine, appare Anna, in processione, completamente vestita di nero con i capelli tagliati. Ruota ancora la pedana del palcoscenico. Lei adesso è sola, lontana, di spalle contro il cielo cupo, con il coro delle ancelle da una parte, in una scena di potentissima forza drammatica che la musica sostiene ed evoca.
L’aria che canta è ad un tempo dolcissima, straniante e lugubre: lei ride pazza – Piangete voi…onde tal pianto…Lei ha completamente perso la testa e, a tratti, crede sia il giorno delle proprie nozze…tiene in mano i propri capelli tagliati – La Cortolezzis è davvero stupenda, propriamente regale, dall’incredibile presenza scenica, si sente in colpa per Percy, il suo primo amante coinvolto nella sua caduta in disgrazia.
Cala un vetro infranto come fondale, sono i suoi sogni spezzati. Anna rimpiange i dolci giorni della giovinezza con Percy, in un canto di straziante bellezza.
La soprano sembrava abitata da un fosco demone.
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Rendimi un giorno solo d’amor… il pubblico grida: “Brava!” ed esplode in applausi commossi lunghi e meritati.
Vista anche la maiuscola e commovente interpretazione della soprano Cortolezzis non si può perdere l’occasione per fare almeno un riferimento al tema della follia in Donizetti, tenendo conto anche che siamo nell’anno del centenario di Basaglia, nel più prestigioso dei teatri triestini.
A partire da Anna Bolena, il tema della follia d’amore e degli intrighi di palazzo che fanno perdere il senno alla protagonista femminile conducendola alla morte è molto presente nella drammaturgia donizettiana con un vertice sublime e inarrivabile nelle celebri scene della Lucia di Lammermor. Non sembra esserci altro sbocco alla passione d’amore per il grande compositore bergamasco ed è un riflesso di una tematica eminentemente romantica che percorre tutta l’arte e la letteratura del XIX sec. da Madame Bovary ad Anna Karenina e che ha un modello di riferimento in Ofelia dell’Amleto shakesperiano.
La questione è stata trattata a fondo dagli esegeti dell’opera di Donizetti e non è certo una novità, meno noto è uno strano caso post mortem legato allo sfortunato compositore che morì a soli 51 anni a causa di una sifilide meningovascolare contratta per via sessuale vista la sua assidua frequentazione di case di piacere.
Dopo anni di fortissime emicranie e un ultimo periodo d’internamento nel manicomio di Ivry sur Seine che lui credeva un albergo, alcuni amici lo riportarono a Bergamo per i suoi ultimi mesi di vita passati nella più completa demenza.
L’autopsia accertò la gravità della malattia che però non fu l’ultimo affronto alla sua esistenza, uno dei chirurghi che analizzarono il cranio del defunto compositore, trafugò la calotta cranica che venne ritrovata solo trent’anni dopo presso un nipote del medico che aveva un negozio di generi alimentari e la utilizzava come vaso per contenere gli spiccioli:
“E così per anni la cavità che aveva raccolto le sublimi creazioni del genio donizettiano, rintronò del roco rimestare dei palanconi” (www.cosedibergamo.com)
Flaviano Bosco / instArt 2024 ©