Ritratto in bianco e nero. Hersch-Rava al Teatro Pasolini di Cervignano del Friuli
L’evento a lungo atteso e più volte rinviato, ha infine avuto luogo al Teatro Pasolini davanti ad un folto pubblico letteralmente fremente che non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione per nulla al mondo. Nessuno è stato deluso da quel piacere procrastinato per così tanto da non poterci sperare quasi più.
È raro che il piacere dell’attesa di ciò che di meraviglioso non si da venga superato di gran lunga da ciò che d’improvviso si manifesta. Un ringraziamento caloroso da parte di tutti gli appassionati è andato all’Associazione Culturale Euritmica che ha organizzato e tenacemente voluto il concerto. Ognuno dei presenti si è immediatamente reso conto di essere di fronte ad un’esibizione preziosa e praticamente irripetibile dovuta anche alla capacità dei due straordinari musicisti di trasformarsi in musica, trascendendo la loro fragilità di esseri umani. Attraverso i loro strumenti e le loro delicatissime intuizioni fatte di note e di una sensibilità senza pari, sul palcoscenico, davanti agli spettatori si sono trasfigurati in emozioni che risuonano nel cuore di ognuno.
Nessun sentimentalismo appiccicoso, ma una gioia talmente levigata da far scendere le lacrime come quando siamo davanti a qualcosa di così bello che non possiamo trattenerci dal pensare che prima o poi finirà. Il fascino del difficile percorso che ognuno di noi sta compiendo durante questo transito terrestre, è che prima o poi è destinato ad esaurirsi, come le salite durante un’escursione in montagna; presto o tardi la cima arriva a farci dimenticare tutti i dolori dell’ascesa e da lì in poi è tutto un rotolare.
Hersch e Rava hanno avuto una vita intensa e piena, completamente dedicata alla ricerca musicale e all’esplorazione di meravigliosi, sconosciuti universi sonori in divenire. Ognuno di loro ha raggiunto e superato addirittura lo status di “semplice” musicista, esecutore o virtuoso; non si può più nemmeno dire che suonino e basta, ma attraverso di loro si manifesta lo spirito della musica, diventano il mezzo attraverso il quale possiamo accedere ad altre dimensioni della coscienza dove tutto è poesia, sempre che ce lo sappiamo meritare.
Conosco già i passi di questa strada
so che non porta a nulla
Conosco i suoi segreti a memoria
Conosco già le pietre di questo cammino
e già so che rimarrò solo
Tra i tanti presenti si riconoscevano molti dei migliori musicisti della Regione che Rava ha letteralmente cresciuto nei decenni attraverso i propri gruppi e progetti. Una grandissima qualità che va riconosciuta al trombettista triestino, oltre all’incanto della sua imboccatura e del suo soffio, è quella di eccezionale Talent scout, senza di lui non si potrebbe parlare propriamente di Jazz italiano.
Come ha dichiarato in una recente intervista, la tromba è ormai roba da ragazzi, ad un gentiluomo della sua risma si addice il flicorno che ha suoni più setosi e morbidi.
È con questo strumento voluminoso ma dal timbro delicato che Rava ha recentemente inciso presso lo studio Arte Suono di Stefano Amerio, insieme al suo sodale pianista, “The song is You” per l’etichetta di Manfred Eicher (ECM 2022) che la critica ha accolto in modo entusiastico e che dal vivo è di una bellezza che stordisce e che fa quasi male. Non a caso l’album ha vinto come miglior disco 2022 la classifica Top Jazz del prestigioso mensile Musica Jazz.
Sono tutte composizioni atmosferiche, di una dolcissima tristezza che risuonano di una primavera che sboccia e automaticamente presagisce la propria fine nella nebbia avvolgente dell’autunno dopo i clamori estivi.
Tanto peggio, cosa posso fare
contro l’incantesimo di questo amore
che io rifiuto ed evito
e che intanto torna sempre a stregarmi
con i suoi soliti e tristi abiti
che in un album di ritratti io mi ostino a collezionare
Il concerto parte quasi in dissolvenza con gli incantevoli accordi di Hersch e non c’è bisogno di ricordare l’unicità del suo tocco, quando attacca è una specie di intenso shock emotivo, sono le seducenti note di “Retrato em Banco e Preto” (Ritratto in bianco e nero) di Chico Buarque e Antonio Carlos Jobim; immediatamente lo spirito di Chet Baker, che fece suo questo capolavoro della musica, si materializza davanti agli occhi e agli “orecchi” di tutti. Sono proprio i versi di quel celeberrimo brano, cantato anche da Mina, che impreziosiscono le varie parti di questa modesta recensione.
È stato, invece, attraverso le proprie note soffiate via che Rava ha trasformato e ripensato il celeberrimo brano con l’infinita grazia e con quell’eleganza che gli appartengono, senza eccessi muscolari e virtuosismi.
Il trombettista, come sempre, ha fatto da guida agli ascoltatori con una “forza gentile” da signore di altri tempi che gli è innata e che seppur quasi anacronistica ha, come diceva Pasolini, tutta la forza rivoluzionaria del passato. Il pianista dell’Ohio non era certo lì per caso ma moltiplicava con altrettanta sorgiva intelligenza i percorsi tracciati nel cielo dalla fantasia del flicorno.
Sono attimi strappati alla banalità del nostro esistere mediocre e pedestre, sempre alle prese con la greve prosaicità dei nostri bisogni primari che ci fanno dimenticare di essere altro da un tubo digerente con due canali escretori agli estremi, ma di possedere anche un cervello e la posizione eretta per utilizzarlo al meglio come già diceva Platone. Hersch e Rava ci fanno ricordare che non apparteniamo a questo mondo, ma siamo figli del cielo.
Eccomi di nuovo come uno scemo
a cercare la tristezza
che mi sono stancato di incontrare
nuovi giorni tristi, notti in bianco
poesie, lettere, mia cara torno di nuovo a scriverti
per dirti che tutto questo è peccato
Hersch suona i tasti ma sfiora con le dita anche le corde tese dentro la cassa armonica arricchendo quel tanto che basta il suo suono in attesa che Rava lo insegua con quelle note che sono in grado di salvarci tutti quanti dall’insipienza e dall’inutilità del nostro blaterare. I due musicisti si sostengono ammirati l’uno dell’altro brillanti e leggeri come luce di stella.
Quello che davvero stupisce in un concerto di tale intensità, tra maestosi silenzi e pianissimo sussurrati, è come tra il pubblico ci sia qualcuno che si ostini a scartare rumorosamente le proprie “caramelline”.
Rava finalmente rivolge al pubblico qualche parola con il suo tono avvolgente e accogliente che sa metterti a tuo agio, tanto che sembra sempre di incontrare un vecchio zio navigato e saggio che in due parole ti racconta delle sue avventure e di quante ne ha combinate.
“The song is You” il brano che da il titolo all’album rielabora un vecchio successo di Frank Sinatra in un’emozione intima e fragile come un sussurro di chi, prevedendo la tristezza di domani, saluta le tenere speranze di oggi con un sorriso solo accennato, pura magia in forma di suono come una leggera pioggia d’aprile su un prato fiorito.
Il mio cuore è già così segnato dai ricordi del passato
e tu sai il motivo
collezionerò ancora un altro ritratto in bianco e nero
per maltrattare il mio cuore
Continua Hersch, sempre giocando con le corde e con sonorità che ricordano il tropico e il Brasile in punta di piedi e a passo di danza. I due Maestri si inseguono su e giù per le scale armoniche con un effetto quasi ilare e comico mentre in platea qualcuno continua imperterrito con le proprie mentine e senza che gliene vada mai una per traverso, la giustizia non è di questo mondo.
Tra i brani, oltre ad altri standard come “I’m getting sentimental” di Tommy Dorsey, “Misterioso” di Monk, anche due brani originali “Child’s song” di Hersch e “The Trial” di Rava; nei nuovi arrangiamenti però tutto suona inedito, anzi inaudito tanta è l’ispirazione che pervade entrambi che nell’alchimia dei loro strumenti sanno creare emozioni del tutto uniche e originali.
Suonano nella semioscurità di un palcoscenico incantato anche se è chiaro che entrambi hanno in faccia il sole della primavera, il cui inizio è stato sancito dall’equinozio solo qualche ora prima dell’esibizione.
Suonano colori e “attimi d’esitazione stupendi” come dice il poeta d’Asti, suonano di fronte ai ricordi più belli, quelli del passato e quelli di un futuro ancora a venire che forse noi non vedremo nemmeno, ma che la loro musica anticipa e indovina attraverso un’ineguagliabile creatività.
Un concerto così non finisce ma “dispare”, svanisce come nel soffio afono del flicorno con il quale Rava saluta il suo pubblico accompagnandolo verso le porte della notte e la tenebra del mondo di domani.
Flaviano Bosco / instArt 2023 ©