Mentre la ragione e il diritto internazionale si sottomettono ancora una volta al rombo del cannone e abbassano la testa chiudendo gli occhi davanti ai più efferati crimini contro l’umanità e tutto sembra perduto, qualcuno è ancora la straordinaria forza generativa di brindare alla pace in musica.
Il cartellone di Jazz & Wine of Peace 2024 conclusosi lo scorso ottobre ha, come sempre, mantenuto quello che aveva preannunciato e promesso. E’ stato assolutamente ricco di straordinarie proposte mai del tutto estemporanee, ma che hanno guardato e promosso un futuro di riconciliazione e pace.
Naturalmente, per una panoramica esaustiva, si rimanda al cartellone della manifestazione presente sul sito www.controtempo.org, noi ci accontenteremo di dare un’occhiata ad alcuni eventi del tutto straordinari.
Jazz and Wine of Peace è una festa di pace nel segno di Dioniso, il dio del vino e dell’ebrezza e di Euterpe, la musa “che rallegra” attraverso i suoni e le armonie che si coniugano nel segno della “fiorente Eirene (Pace), colei che dà significato ai travagli degli uomini” come dice Esiodo (Teogonia, 901).
Cosa ci può salvare dalla voragine di orrore nella quale stiamo sprofondando se non la poesia e la musica. Il Collio e il Carso sono stati per secoli teatro delle più orribili stragi e dell’insensata crudeltà degli uomini contro i propri fratelli; oggi quella terra martoriata è un vero e proprio paradiso di sapori e di colori; luce tra i vigneti ed estasi di grappoli e filari.
Grazie anche a manifestazioni come Jazz & Wine of Peace da tanti anni è possibile degustare la brillantezza delle Blue notes associandola ai vini più preziosi e alle leccornie più prelibate.
La proposta eno-gastronomica associata a quella culturale e musicale ormai è un trend turistico diffuso ovunque, ma quasi trent’anni fa lo era molto meno, soprattutto nel nostro territorio. L’associazione Controtempo è stata davvero lungimirante nell’aver immaginato allora un futuro di grande successo come quello che stiamo vivendo.
Il merito è tutto di chi ha creduto che proposte musicali di altissimo livello associate ad un territorio florido d’incanti non potevano creare che un circuito virtuoso.
L’edizione 2024 del festival è stata dedicata alla memoria di Mauro Bardusco recentemente scomparso che, nel nostro paese, può essere annoverato tra i pionieri di questo virtuoso connubio tra turismo “slow” e cultura. Era stato direttore artistico e cuore pulsante della manifestazione per 26 anni e membro fondatore dell’ass.Controtempo da oltre tre decenni araldo della cultura musicale in regione.
Chi scrive queste righe ricorda, con grande nostalgia e gratitudine, il concerto di John Surman organizzato nella palestra di Romans d’Isonzo nel 1992 che fu il punto di partenza di un’avventura culturale che ancora prosegue traguardando il futuro con i propri obiettivi.
Coloro che passeggiano per le incantevoli vie del centro storico di Gorizia in via delle Monache può scorgere ancora l’insegna del negozio Cornici Bardusco, è proprio lì che Mauro inquadrava con artistica sapienza le opere che gli venivano affidate. Era proprio questa la sua maggiore abilità anche negli altri contesti, saper trovare la prospettiva giusta per traguardare il presente e il futuro della musica, architettando eventi e festival con cura e dedizione da vero artigiano.
“La cornice ha qualcosa della finestra, così come la finestra ha molto della cornice. Le tele dipinte sono buchi di idealità praticati nella muta realtà delle pareti: brecce di inverosimiglianza a cui ci affacciamo attraverso la finestra benefica della cornice (…) il quadro è un’apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambito reale. Quando guardo questa grigia parete domestica, la mia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro entro in un recinto immaginario e adotto un’attitudine di pura contemplazione. Sono, dunque, parete e quadro, due mondi antagonistici e senza comunicazione. Dal reale all’irreale, lo spirito fa un salto, come dalla veglia al sonno. L’opera d’arte è un’isola immaginaria che fluttua, circondata dalla realtà da ogni parte”.
(Ortega y Gassett cit. in La cornice e il problema dei margini della rappresentazione di Antonio Somaini, www.lettere.unimi.it)
La straordinaria sensibilità di Mauro Bardusco ha regalato a tutti noi la possibilità di immaginare il futuro attraverso la musica e l’arte, che sapeva “inquadrare” senza pregiudizi e accademismi, ma con il gusto sopraffino del vero appassionato che riconosceva i veri talenti al primo ascolto. Va dato grande merito al suo festival e alla sua Associazione d’aver cresciuto almeno una generazione di nuovi “ragazzi-scimmia” del Jazz, tra musicisti e “semplici” spettatori, che garantisce il domani della musica d’improvvisazione.
L’edizione 2024 di Jazz&Wine of Peace si è mossa in questo solco fecondo tracciato da Mauro Bardusco e dai suoi splendidi collaboratori, rinnovandosi al contempo a partire proprio dal direttore artistico, Marco Pessotto cui vanno i migliori auguri da parte di tutti gli appassionati di una lunga carriera che di certo sarà ricca di grandi soddisfazioni.
Presso la Cantina Lis Neris si sono tenuti alcuni dei tanti eventi itineranti del festival che coniugano le suggestioni della musica a quelli del nettare degli dei che dorme nei tini e si esalta nei calici vibrando d’armonie di gusto che la musica rende celestiali.
Presentazione del podcast “Memorie dall’impero” Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou, una storia di musica e colonialismo con Luca Giuliani, Flavio Massarutto e Marcello Lorrai.
Tra le novità più interessanti presentate alla rassegna, in anteprima assoluta un posto di riguardo va decisamente al podcast che indaga il rapporto tra il Friuli Venezia Giulia e le Colonie italiane d’Africa.
Quello del colonialismo italiano è un argomento del quale nel nostro paese si parla molto raramente e spesso senza alcuna cognizione di causa oppure in modo interessato e ideologico seguendo l’insopportabile stereotipo degli “italiani brava gente” con il quale la propaganda del dopoguerra ha volutamente coperto gli orribili crimini commessi dal nostro paese nei territori d’Oltremare.
Finita la Seconda Guerra Mondiale quelle memorie sono state volutamente cancellate e solo l’opera di alcuni storici ha riportato parzialmente a galla le scomode verità che vanno dai crimini contro l’umanità del maresciallo Graziani e dei suoi soldati (strage di Addis Abeba 21/02/1937) passando per le nefandezze di alcune multinazionali petrolifere italiane, fino al brutale sostegno ai regimi che schiavizzano i migranti.
Può sembrare insensato e tendenzioso accostare fenomeni storici così diversi e distanti nel tempo, ma in realtà a ben guardare la percezione che ne abbiamo è frutto diretto di un oblio e di un ostentata indifferenza alle sofferenze di quel continente che è sempre più diffusa.
Bene hanno fatto perciò Flavio Massarutto e Luca Giuliani a raccontare quelle lontane efferatezze partendo da storie poco conosciute e quasi del tutto inedite che riguardano il nostro territorio regionale e le ex colonie africane. Anche i friulani esaltano il proprio carattere mansueto e la loro docile remissività che li fa illudere di essere saldi e onesti, senza macchia e senza paura anche se la storia dice spesso esattamente il contrario; certo sono esistite luminose eccezioni, ma ciò che si è raccontato fino ad ora è ancora ben lontano dalla realtà.
Massarutto ha raccontato che la proposta di partecipazione al progetto gli è arrivata mentre stava leggendo il romanzo di Igeaba Scego “La linea del Colore” che lo ha fatto riflettere in un fecondo cortocircuito emotivo, su un affresco presente in una chiesetta di San Vito al Tagliamento dove si vede uno schiavo nero inginocchiato davanti ad un santo bianco.
E’ proprio in questo modo che a volte inconsapevolmente continuiamo a pensare all’Africa, come un luogo da sottomettere, che ci chiede la carità. Le storie che saranno raccontate nel podcast sono tutt’altro che fruste e retoriche, ma riguardano situazioni che pochissimi ricordano: il Movimento antischiavista italiano fondato nel 1889 e Mons. Coccolo di San Vito al Tagliamento; Il Cacciatore delle Alpi garibaldino Romolo Gessi; Pasqualino Tolmezzo, orfano della guerra di Libia che nel 1930 divenne il primo ufficiale alpino di colore; le navi costruite a Monfalcone per la Regia Azienda Monopolio Banane nel 1933 e via di seguito con altri approfondimenti che riguarderanno in particolare l’arte, il fumetto e la musica.
Il critico musicale Marcello Lorrai (Radio Popolare, Il Manifesto) ha, a questo proposito, fatto riferimento durante la presentazione alla figura e all’opera della musicista somala Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou (1923-2023). Era una monaca ortodossa della chiesa etiope deportata nel nostro paese dopo l’invasione italiana, prima all’isola dell’Asinara e poi confinata a Mercogliano (AV). L’aggressione italiana dell’Etiopia nel 1935 fu un fatto gravissimo all’unico regno cristiano fuori dall’Europa e il nostro paese non è mai stato condannato in modo adeguato a livello internazionale per tanta protervia; anche per questo la vicenda è stata tutt’altro che metabolizzata sia a livello sociale, sia storico-politico. Bisogna riflettere che non si è mai affrontato nel modo dovuto e in profondità il passato coloniale del nostro paese.
Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou aveva una formazione pianistica classica e nelle sue incisioni notiamo la straordinaria capacità di contaminare il canone europeo con la tradizione musicale folklorica etiope. La gloriosa collana discografica Éthiopiques (Buda Musique) fornisce una formidabile retrospettiva sulla musica del Corno d’Africa facendoci scoprire che il Jazz non è solo patrimonio della diaspora africana nel continente americano ma anche della sua matrice africana.
Ascoltando la pianista etiope, infatti, si ha l’impressione di assistere alla nascita della musica afroamericana tanto il suo stile è simile al ragtime o al primo blues. Per uno di quei miracoli che solo il jazz ha reso possibile e che nessun fascismo potrà mai compromettere.
Il podcast sarà presentato il 18/01/2025 a San Vito al Tagliamento (PN) accompagnato da una mostra sul passato coloniale della nostra regione.
Jali Babou Saho trio: Simone Serafini (contrabbasso) Luca Zennaro (chitarra) Jali Babou Saho (kora, voce)
La Kora è un cordofono del futuro che ha almeno tremila anni di storia da raccontarci e può intrattenerci e deliziarci con il suo canto per tutte le epoche a venire.
E’ la madre di tutti gli strumenti a corda e nel suo incontro con una chitarra fender e un contrabbasso, come nel caso del concerto di San Lorenzo Isontino, è possibile riassumere ed esaltare non solo la storia della musica, ma anche quella della bellezza in senso assoluto.
Dalla cassa armonica dell’antico strumento africano ricavata da una particolare cucurbitacea, alla liuteria più raffinata che intarsia l’abete di risonanza, fino ai jack e ai pick up, si può percorrere un vero itinerario creativo e immaginifico carico di energia ancestrale e di sentieri sotto le stelle del jazz.
E’ stato un vero cortocircuito emotivo ascoltare a Jazz&Wine of Peace 2024 il trio di Jali Babou Saho alla kora e alla voce, sostenuto dalle ritmiche del contrabbassista Simone Serafini e le suggestioni elettriche di Luca Zennaro, tanto che, a volte, è stato perfino difficile dominarsi e fare ordine tra le figurazioni e le immagini oniriche che i tre proiettavano davanti a se e nell’immaginario di chi li ha ascoltati rapito, mentre intonavano le loro melodie così moderne e ancestrali allo stesso tempo.
I suoni hanno letteralmente preso forma tanto che a tratti è sembrato quasi di vederli conquistare i loro arcaici, eterni spazi e muoversi danzando.
La radice primaria delle armonizzazioni del trio sono stati molto spesso brani tradizionali dell’Africa occidentale e in particolare del Gambia, paese d’origine di Babou Saho. Alcuni di questi si sviluppavano a partire da un tema che s’avviluppava su se stesso in un eterno ritorno che sembrava sospendere il tempo e che chitarra e contrabbasso amplificavano ed estendevano in infinite variazioni.
Alcuni brani, sotto l’apparente vena nostalgica ed esotica, veicolavano messaggi e rivendicazioni molto concrete come quello che ha espresso tutta la riprovazione possibile contro la guerra, esordendo in modo irruento con quella che è sembrata una detonazione per poi farsi gradualmente più riflessivo; la voce di Babou ha impreziosito una tessitura musicale ricca con tramature dolorose e livide
Da sottolineare anche il brano di Luca Zennaro, ispirato alla sua residenza artistica a Dakar con un suonatore di kora, più vicino alla sensibilità jazz europea, tessuto su un lungo assolo di chitarra carico di spezia cui si è aggiunto il contrabbasso e poi la kora.
Divertente, ritmata, molto solare, piena di profumi e di colori, la composizione dedicata da Babou a Boundun, la sua città natale in Gambia, nella quale si esprime tutto il virtuosismo della Kora e il suo particolarissimo incedere, dolcissimo ma allo stesso tempo teso e percussivo.
Serafini in alcuni momenti batteva sulla cassa armonica del suo strumento regalando sensazioni tribali da tamburo Djembe, percuotendo contemporaneamente le corde fino a “slappare”
Dando prova della sua grande, versatile tecnica, il contrabbassista ha utilizzato anche l’archetto con alcuni voluti effetti dovuti allo sfregamento delle corde anche con i palmi.
Ancora nel finale, Serafini con una chitarra basso molto particolare con corde grosse e bianche ha introdotto con un lungo assolo un brano della tradizione dei Griot che raccontava di un antico re morto proprio nel giorno del suo matrimonio. La melodia triste e quasi funebre ha dimostrato ampiamente che la kora è un animale da domare prendendolo per le corna, sa essere dolcissima, piena di vita e di luce, ma comprende tutte le altre sfumature che rendono “straziante la bellezza del creato” come diceva Pasolini.
Una composizione morbida, notturna e pensosa è stata dedicata da Babou alla propria sorella per manifestarle tutto l’amore che le vuole. In chiusura anche le campane del paese hanno voluto fare un omaggio a tanta bellezza facendo da alato bordone perfettamente a tema con l’atmosfera.
(Continua)
Flaviano Bosco / instArt 2024 ©