Non sembri irrispettoso il titolo dato a questa recensione del pregevole concerto tenuto dalla violoncellista Barucca Sebastiani insieme alla FVG Orchestra diretta dal Maestro Paroni. Quando ascoltiamo le esecuzioni di prestigiose, immortali pagine di musica come quelle di Haydn e Schubert, abbacinati dalla grandezza del loro genio, paradossalmente, ci dimentichiamo di loro come persone, del loro tempo e delle condizioni nelle quali espressero la loro immensa creatività.
Ė anche vero che la grande musica arriva in ogni caso al nostro cuore anche senza troppe nozioni tecniche, ma con un minimo di informazioni anche di costume riusciamo a goderci meglio quelle note.
Spesso le idee che abbiamo per quanto riguarda i compositori, i musicisti sono distorte da stereotipi che li trasformano in una sorta di dei del tutto intangibili che parlano un linguaggio astruso non adatto ai semplici mortali. “L’impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne” dice Battiato in una famosa canzone e non ha tutti i torti
– Concerto n.1 in do maggiore per violoncello e orchestra di Franz Joseph Haydn (1732-1809) E’ subito meraviglia e luce, gioia e spensieratezza. Haydn quando scrisse questo suo primo concerto era al massimo della felicità e si sente distintamente dalla prima all’ultima nota. Non tutti i grandi geni viennesi hanno avuto una vita tormentata, com’è nel frusto stereotipo romantico. C’è stato anche chi ha avuto tutto l’agio di poter esprimere le proprie potenzialità fino in fondo.
Haydn, che era di bassa estrazione, era figlio di un carradore (appassionato di musica), e aveva dalla sua un grandissimo talento che gli permise di bruciare le tappe della sua formazione musicale, cominciata nel coro delle voci bianche della cattedrale di Vienna, e ottenere fin da ragazzo un’enorme notorietà e apprezzamento. Nel 1757 a soli venticinque anni entrò al servizio della potentissima e nobile famiglia degli Esterhazy che, con la grande raffinatezza, mecenatismo e amore per l’arte che li distingueva, permise a intere generazioni di musicisti di potersi esprimere “liberamente”.
Quella che noi oggi definiamo più propriamente Musica classica schematicamente ebbe un periodo di sviluppo relativamente breve, concentrato nella Vienna dei conti Esterhazy, dal primo incarico di Haydn alla morte del giovane Franz Schubert, precettore di una delle contessine, nel novembre 1829 pochi mesi dopo la scomparsa di Ludvig van Beethoven. Il concerto della FVG Orchestra, in poche parole, ha racchiuso nei suoi meravigliosi estremi un’intera epoca con le sue delizie e i suoi tormenti. Il grande pregio di questo ensemble e del suo direttore è proprio quello di sapersi confrontare con le grandi pagine della musica sinfonica con grande competenza e impegno ma regalando al pubblico una grande “naturalezza” senza la respingente pomposità e alterigia che spesso fa parte di un modo di approcciarsi alla musica, cosiddetta, colta inutilmente elitario e fintamente aristocratico. Con tutto il rispetto, la cura e l’attenzione, giustamente dovutagli, la cultura e così la musica deve essere accessibile a tutti o non è e non serve a niente.
Ė solo questione di educazione e di gusto, la grande tradizione musicale europea lo insegna. Il padre di Haydn, pur facendo un lavoro umile, finite le fatiche della giornata, suonava alla propria famiglia con grande passione lo Zither, una sorta di salterio o cetra da tavolo, le cui melodie sono filtrate nella musica del figlio che, prima degli alti incarichi che ricoperse, si mantenne anche suonando “letteralmente” per le strade, pagato dagli “amorosi” per fare delle “sviolinate” sotto le finestre delle belle di turno al chiaro di luna.
Haydn scrisse il concerto n.1 in Do maggiore per violoncello e orchestra per le serate che si tenevano nel Palazzo degli Esterhazy ad un centinaio di chilometri da Vienna nell’attuale Ungheria. La Versailles d’Ungheria venne costruita appositamente per le arti e Haydn poteva disporre di un grande teatro da quattrocento posti, immerso in un enorme, meraviglioso giardino nel quale “suonare ed amare” un’intera orchestra in residenza con l’unica preoccupazione di scrivere musica, far le prove ed eseguire le proprie composizioni davanti alla corte. In totale scrisse 107 sinfonie, centinaia di concerti e moltissima altra musica di grande pregevolezza. A parte un breve periodo di trionfo a Londra non si spostò mai molto dalla sua terra e negli ultimi mesi della sua vita suonava ossessivamente la marcia reale asburgica da lui stesso composta in segno di gratitudine.
Nel concerto n.1, a lungo creduto perduto e riaffiorato solo nel 1961, emerge tutta la vitalità che il compositore stava elaborando proprio duecento anni prima, intessendo mirabilmente suggestioni barocche e coeve in una forma musicale che gli è propria, quella sinfonica, non tanto perché di sua esclusiva “invenzione” ma perché la portò attraverso l’elaborazione nei concerti, nei quartetti e naturalmente nelle sinfonie alla forma più compiuta dalla quale tutti avrebbero tratto ispirazione, tra i primi Beethoven che non a caso fu allievo diretto e diligentissimo di Haydn.
Tutto questo sforzo lo vediamo proprio nelle parti di violoncello solista che connotano questa composizione, eseguite in modo morbido e dolce dalla giovane Cecilia Barucca Sebastiani. Il violoncello in questo concerto dimentica tutte le inquietudini che lo connotano per un’atmosfera rarefatta e sognante come quella di un tramonto autunnale longo i viali del pomeriggio. Una lieta passeggiata in un rosso ruggine tra le nuvole e le foglie sotto i nostri piedi. Gli archi e i legni della FVG orchestra hanno saputo accompagnarci piacevolmente in questo nostro girovagare placido con la fantasia nel delizioso giardino di “Eszterahza” dove vive ancora lo spirito giocondo di Haydn che ai propri detrattori che lo accusavano di essere troppo gaio e spensierato perfino nelle messe, rispondeva quieto: “Quando penso a Dio sento che il cuore che lui mi ha dato è pieno di gioia e amore e la mia musica non può essere altro che espressione di questi sentimenti di esultanza e di lode”. Essere felici e gioiosi ed esprimerlo non può essere una colpa e in ogni caso, Haydn si sarebbe fatto una gran bella risata lasciandoci alle nostre ubbie, continuando a comporre e a sognare le proprie splendide armonie.
Mentre succedeva tutto questo, nell’oscurità della platea ricavata dalla navata dell’antica chiesa medievale di San Francesco, una bambina alla luce del proprio telefonino, leggeva avidamente un libro aperto sulle sue ginocchia, completamente persa e avvinta dalle avventure di chissà quali personaggi e situazioni. Ogni tanto chiede alla mamma che le sta a fianco, attentissima nell’ascolto del concerto, di spiegarle una parola difficile o qualche passaggio poco chiaro. A qualcuno potrà sembrare irrispettoso, ma se ci pensiamo solo un momento capiremo subito che quella bambina è un autentico tesoro che invece di giocare con il telefonino “messaggiando” in chat o spiando i profili instagram di qualche paperissima come facciamo noi adulti, ne usa la torcia per leggere un libro durante un concerto sinfonico. Un vero miracolo.
Prima di proseguire con il programma di sala Cecilia Barucca Sebastiani e l’orchestra hanno concesso un breve intenso fuori programma: Il cigno dal Carnevale degli animali di Camille Saint Saëns celebre per il balletto che ne fu tratto (La morte del cigno). La voce del violoncello in un’impeccabile esecuzione ha strappato al pubblico un meritato e sentito scroscio di applausi.
– Sinfonia n.4 in Do minore D417 “Tragica”di Franz Schubert (1797-1828).
Dall’altro capo del cosiddetto “Classicismo” troviamo la Tragica di Schubert. Per sancire il passaggio solitamente si dice che quest’ultimo accolse lo spirito di Beethoven che aveva ricevuto quello di Mozart dalle stesse mani di Haydn. A dividere il mondo gioioso di Haydn da quello del tragico del giovane Schubert, un evento epocale che ha cambiato radicalmente la storia dell’umanità: La Rivoluzione francese e l’età napoleonica, l’alba e la repentina catastrofe di un illusione di libertà che durò lo spazio di poco più di vent’anni. Non si può in alcun modo non tenerne conto ascoltando la musica di Schubert. Infatti, la sinfonia n.4 si annuncia con un tuonare di timpani e un coro d’oboi, flauti e fagotti che salutano un’intera epoca che se n’era andata a colpi di cannone così come gli archi che appaiono quasi sgomenti e indaffarati a salvare il salvabile davanti ad ogni scoppio e lampo orchestrale.
La FVG Orchestra, per l’occasione, ha sfoggiato e sfogato tutto il proprio vigore e carattere impegnandosi anche “fisicamente” in un esecuzione squillante che trasmetteva energia pura. Esaltato e scosso da tanto clamore, il pubblico fatica a trattenersi e tra un movimento e l’altro qualcuno non resiste ad un battimani quasi rispondendo ad un oscuro, inconscio comando come succedeva ai poveri cani di Pavlov condizionati da uno stimolo auditivo a sbavare davanti ad una ciotola che gli veniva promessa e negata come siamo diventati ormai tutti noi spettatori inconsapevoli cui la televisione ha insegnato ad applaudire ad ogni pausa come foche ammaestrate. Medesimo discorso vale per la fatidica standing ovation che ammorba ogni finale d’esibizione, di qualunque tipo di spettacolo si tratti, dalle chiacchiere di un sedicente filosofo alle note di una chitarra barrelhouse costruita con un manico di scopa e una scatola di detersivo per piatto, oltre ogni decenza.
La vita di Schubert è stato modello per lo stereotipo del musicista romantico di cui si diceva più sopra, bisogna pur ammetterlo. Ma non bisogna solo sottolineare la sua malinconia e la sua morte acerba ma anche le vicende miserrime in cui fu costretto per un certo periodo. Visto che nessuno pagava per la sua musica e per i suoi lavori praticamente boicottati, per sbarcare il lunario si dovette adattare a fare il maestro elementare nella scuola diretta da suo padre, praticamente senza salario. Le ristrettezze gli impedirono di chiedere la mano dell’unica donna che mai amò e che fu in seguito costretta a sposare un mugnaio, mentre non gli impedirono di contrarre la sifilide in altri ben più prosaici svaghi.
La “tragica” però è tale come solo la consapevolezza sa essere, fa sentire con le orecchie e con la pancia l’artiglieria di Napoleone che tutte le città d’Europa ben conoscevano ai tempi di Schubert che ha la forza temeraria di immaginare tutte quelle che non tarderanno ad arrivare nei decenni successivi. Schubert anticipa, coglie e porta a ideale compimento le scintille di quel furioso futuro che non vedrà e che gli sarà negato prematuramente ma che attraverso la sua musica non smette di raccontarci.
Possiamo sopportarlo questo sgomento? Certo che sì, basta stemperarlo e lenirlo con le note anche grazie all’ariosa direzione del maestro Paroni, impeccabile ed elegante come sempre nella sua interpretazione equilibrata della partitura che sa esprimere con la collaborazione preziosa di tutti i suoi orchestrali.
Infine, ancora colpi di timpano come maglio e tutto orchestrale dal cuore in tumulto e fronte madida. Non è proprio la storia che bussa vigorosa alla porta come nella definitiva ultima sinfonia di Beethoven che Schubert riconosceva come proprio Maestro, ma poco ci manca.
Schubert morì il 19 novembre 1828 a soli 31 anni, il suo corpo indebolito dal mal francese che lo perseguitava da anni, si spezzò per un accesso di febbre tifoidea contratta poco tempo prima ad Eisenstadt dove si era recato per una visita alla tomba di Franz Joseph Haydn.
Come diceva quel tale della televisione: Allegria!
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