Le straordinarie, frizzanti “bollicine” dei vini dell’Azienda Agricola Gheller di Carlino (UD) hanno salutato con i botti dei tappi che saltavano un altro riuscitissimo evento compreso nelle esplorazioni ai confini tra musica, territorio ed enogastronomia della rassegna Estensioni Jazz club diffuso di Luca A. d’Agostino e dei suoi compagni di merende della cooperativa culturale Slou.

Abbiamo imparato a conoscere le eccellenti proposte della rassegna itinerante di jazz più intrigante della Regione FVG. Come ha detto il sub-comandante d’Agostino: “Ci piace la musica strana, il vino strano, ci piacciono i luoghi strani”. E anche questa volta non ha voluto smentirsi organizzando un concerto blues del duo Gianni Massarutto – Paolo Corsini, rispettivamente armonica a bocca e Fender Rhodes, nell’incantevole Giardino Botanico di Ruggero Bosco a Santa Marizza di Varmo.

Significativo che l’azienda agricola sia di Carlino e faccia un vino “corretto” nel senso di rispettoso dei ritmi naturali, biologici e vegetali, ma anche con l’aggiunta di qualcos’altro che è passione, curiosità, con una punta di salmastro dovuto allo spirito della Bassa e alla vicinanza con la laguna “che ti entra nella testa e che ti vibra nelle ossa” come dice Finardi; è come una musica, ma è inutile sproloquiare, di vino si parla anche troppo mentre la cosa davvero importante è gustarlo in buona compagnia, tra “occhi che si cercano e labbra che si guardano”, sempre per restare nel solco della poesia italiana.

Così si continuavano ritmicamente a stappare bottiglie, accompagnandosi con un altro frutto prelibato della laguna: le “Sarde in saor”, il tutto con i musicisti che si preparavano mentre il concerto per il palato era già iniziato.

Massarutto è un vero virtuoso del suo strumento, nel corso degli anni ha collezionato un gran numero di incisioni, di esibizioni in tutto il mondo e una collezione impressionante di armoniche a bocca che suona con una freschezza e un approccio del tutto libero e fuori dagli schemi. Certo le sue radici sono per ispirazione ben piantate nel fango della Louisiana, ma la sua creatività è libera e lo spinge a muoversi in più direzioni anche contemporaneamente.

Quello che ha presentato nella piccola radura al centro del labirintico “verziere” di Santa Marizza è “Call me, Baby”, la sua ultima fatica in quartetto (The Bluesiana). L’improvvisata versione per duo del lavoro non ha minimamente tolto fascino ai brani, per la maggior parte composti dal band leader, anzi ha regalato loro quell’essenzialità a volte ruvida e terrigna che ci riporta al suono scabro e rurale che caratterizzò l’alba di quel genere tra campi di cotone, lavori forzati e bordelli; alcuni poderosi standard del genere hanno irrobustito ulteriormente la proposta.

Massarutto ha un suono assolutamente espressivo che utilizza tutta la gamma delle modulazioni possibili, dagli schiocchi di lingua, ai mugugni, al vero e proprio moaning, e poi sibili, fischi, aspirazioni, soffi e quant’altro impreziosisce le sue esibizioni rendendole davvero uniche e godibilissime.

Il blues possiede la forza germinativa che corrisponde a quella della vegetazione, si nutre di sole, d’acqua e di fango di palude (Muddy Waters), sa però approfittare anche dell’ombra come le felci del sottobosco o le alghe e le canne degli acquitrini; non a caso è un genere che ha le proprie origini nelle umide, limacciose paludi del Mississippi, il fiume padre delle grandi pianure che vede le sue luci accendersi e successivamente arrendersi nella corrente del Golfo del Messico. Il fiume sa essere placido, accogliente e magnanimo, ma anche distruttivo e maligno quando il caso vuole.

La musica degli afroamericani ha saputo nutrirsi e risorgere anche dalle cicliche inondazioni. La musica di Massarutto e Corsini è assolutamente perfetta per i misteri di un giardino come quello di Ruggero Bosco a Santa Marizza di Varmo, un luogo carico di storia che non è per nulla dimenticato nel tempo.

Quarant’anni fa il pirata di lungo corso Ruggero decise di fare qualcosa di veramente decisivo per il proprio futuro e fu così che in un vecchio terreno di famiglia piantò un giardino che solo oggi, dopo tanti anni, mostra tutto il suo splendore fatto di labirinti di felci, arbusti ed alberi ad alto fusto sia esotici che autoctoni, tutto disposto non secondo gli assi cartesiani di una logica stringente e del tutto disanimata. E’ per lui anche un laboratorio nel quale sperimenta le soluzioni che poi adotta nell’allestimento di preziosi scrigni vegetali per i suoi committenti. Ruggero Bosco ha costruito un luogo di esperienze sensoriali che rilassano e calmano l’anima e la psiche.

Il giardino è fatto a sua immagine e somiglianza e perciò è accogliente, cortese e meditativo, ma allo stesso tempo estroso e misterioso. Sembra concepito senza alcun costrutto, ma sa far valere le proprie ragioni che sono bellezza e flagranza di momenti unici che sembrano dilatare il tempo cambiandone le dimensioni. Quelle piante si affollano in un fitto, inestricabile intrico di rami, foglie, fiori, siepi, erbe officinali, alberi da frutto, felci, ortiche e orchidee che si contendono la luce con le ombre del sottobosco. A passeggiare tra tanto rigoglio sembra di perdersi, ma ci si ritrova sempre stupefatti a contemplare il boschetto giapponese fatto di altissime canne di bambù con al centro un piccolo altare alla serenità del Budda. Adatto alla meditazione anche il piccolo specchio d’acqua sorgiva proprio al centro della vegetazione lussureggiante.

I musicisti e il pubblico di fortunati si sono ritrovati in una piccola radura che si apre tra le piante che è sembrata per un momento un microcosmo di felicità e di speranza, un’isola misteriosa di pace, uno spazio interiore, un rifugio.

E intanto Massarutto cantava: “Call me baby, call me sometimes”, e al suono stridulo della sua armonica naturalmente rispondeva il gallo del retrostante pollaio, ricordando immediatamente agli appassionati il brano “Little Red Rooster” di Howlin’ Wolf che dice: “I have a little red rooster, too lazy to crow for day” (Ho un piccolo gallo rosso troppo pigro per cantare sul far del giorno).

Tra il pubblico anche lo scatenato Flavio Massarutto, il “Blues brother” dell’armonicista, probabilmente il più acuto esperto e divulgatore della musica afro-americana nel nostro paese, giornalista attento e inesausto “agitatore” di appassionati con i festival e gli eventi che organizza.

Sul tavolino di ferro accanto ai musicisti c’era una brutta riproduzione in cemento di un tacchino; I Wild Turkey erano un gruppo della blues renaissance inglese degli anni ‘70. Sembrava che ogni elemento magicamente andasse a comporsi insieme agli altri a rappresentare non un semplice pacchiano ornamento, ma, attraverso la musica, un elemento di una teoria di simboli che i maniaci della scala pentatonica ci hanno messo un attimo a scoprire ed interpretare.

Attratta dai suoni anche una “paperella” del vicino laghetto sfoggiava d’un tratto la propria livrea, pavoneggiandosi davanti al pubblico, dimenticandosi per un attimo della sua andatura buffa che la fa filare sull’acqua ma caracollare comicamente sul prato, il suo andare era perfettamente a tempo con la musica da farti ridere di cuore dalla gioia. Uno straordinario pezzo di Taj Mahal & Keb’Mo’ si intitola: “Diving Duck Blues” e dice significativamente: “If the river was whiskey, I would be a diving duck” (se il fiume fosse di whiskey, sarei un’anatra tuffatrice).

Questi argomenti “da cortile” sono assolutamente naturali e adatti per una musica che nasce sulle aie e nei campi di cotone e che all’aria aperta respira e guarda verso l’orizzonte.

Corsini alla tastiera Roland RD 700 ha fornito il giusto companatico alle delizie imbandite dal timoniere Massarutto e ha saputo trasformare la piccola radura al centro del labirintico giardino in Beale street Memphis o in una baracca sul fiume o ancora in un sobborgo di Chicago; certo ci vuole un po’ di fantasia, ma la musica aiuta: “Got my mojo working, but it just won’t work on you, …going down to Louisiana…” proprio come diceva Muddy Waters.

Entrambi i musicisti sanno bene di essere dei virtuosi ma non ci danno troppo peso, la loro musica resta sempre divertente, disimpegnata e mai fine a se stessa ed è anche questa la maestà del blues che sa restare sporco di terra e odorare di stallatico anche se lo suona un’orchestra sinfonica. Massarutto e Corsini se ne rendono perfettamente conto così come sanno quanto cuore, sentimento, nostalgia e bestemmie sono sempre stati in quelle note che sono pur sempre il grido di libertà di quegli schiavi che hanno saputo spezzare le loro catene.

Il giardino delle delizie di Bosco è davvero un luogo che ispira musica e poesia e sa ben amplificare quella particolarissima atmosfera che caratterizza il minuscolo abitato di S. Marizza che, in realtà, è un caleidoscopio di culture e di letteratura della Piccola Patria.

Per numeri civici successivi, accanto alla casa del poeta dei fiori e dei campi, c’è l’abitazione dello scrittore Violante Parrino e della pittrice Federica G. Ravizza; giusto a fianco, proseguendo troviamo quello che in friulano si dice il “Palasat”, il termine, che non ha alcun significato dispregiativo, non può tradursi nell’italiano palazzaccio, ma nel più chiaro palazzone; fu l’ultima residenza di uno dei grandi scrittori del ‘900 italiano, che molte antologie immeritatamente sottovalutano e trascurano: Elio Bartolini, cantore di tramonti e desideri con un linguaggio raffinatissimo e fiorito che onora la lingua italiana e delizia i lettori.

Quella che un tempo era solo una pertinenza della villa centrale dove risiedevano le famiglie dei mezzadri che lavoravano i terreni dei nobili feudatari che da secoli taglieggiavano quelle genti è diventata la celebre Casa a Nord-est come recita il titolo di un fortunato romanzo che fu scritto da Sergio Maldini, proprio a Santa Marizza e che riguarda la ristrutturazione della casa contadina.

In quella casa generazioni di contadini, chi scrive queste righe può dire forse un po’ esagerando: “Che Duemil’anni forse di gente mia campagnola, e mio padre e mia madre”…sono nati e vissuti nella fatica e nel sacrificio della mezzadria. E’ da quelle genti che viene lo spirito di Ruggero Bosco che ha saputo far germogliare e fiorire quella stessa terra lavorata da generazioni di suoi avi.

Tutte queste e molte altre sono le corde che la rassegna Estensioni Jazz Club diffuso ha saputo mettere in risonanza in un luogo che è di per se paragonabile ad una tavola armonica di colori e di emozioni. Bravi!

© Flaviano Bosco – instArt 2023