Una delle migliori sale per l’ascolto della musica “suonata” di Udine è di certo l’Auditorium Zanon di Viale Leonardo Da Vinci.
Resta un mistero il suo scarso o nullo utilizzo negli ultimi anni e il suo stato di semi abbandono.
Il capoluogo friulano, che da sempre lamenta carenze di spazi e strutture per la musica e sogna faraoniche ristrutturazioni, come quella dell’ex cinema Odeon, meravigliosa chimera, potrebbe trarre non poco giovamento da un più oculato utilizzo di quella sala che in passato ha ospitato vere e proprie leggende della musica e della cultura internazionale.
L’ass. Euritmica, che con la sua rassegna Note Nuove, continua a portarci talenti assoluti della scena internazionale, nel 1991, vi organizzò la prima edizione del suo Udin&Jazz con Elvin Jones headliner assoluto.
È vero che l’area dove si trova l’auditorium sta subendo radicali trasformazioni con la costruzione della nuova sede dell’Isis Malignani e si progettano ancora importanti restiling, ma il rischio è quello di ritrovarsi con meravigliose, ipertecnologiche, vuote cattedrali in un deserto culturale dove le forze vive della città e del suo hinterland sono state nel frattempo soffocate.
Comunque, solo il futuro ci potrà dare la risposta e magari far fare la fine che gli spetta alle “Cassandra” come lo scrivente, per ora godiamo di quello che abbiamo.
In ogni caso, fedele alla propria fama e tradizione l’ass.Euritmica guidata dall’inossidabile Komandante Giancarlo Velliscig si è assicurata un altro formidabile colpo con la performance udinese degli Stick Men, tre autentici mostri sacri della musica del nostro tempo a livello planetario e, per una volta, non è un’esagerazione giornalistica.
Se prendiamo soprattutto la carriera artistica di Tony Levin, nessun elogio sarà mai troppo per un musicista che può vantare collaborazioni non occasionali di altissimo livello con artisti del calibro di King Crimson, Peter Gabriel, David Bowie, Yes, Pink Floyd e chi più ne ha più ne metta.
Sia chiara una cosa, a chi tra i lettori di queste righe venisse in mente che lo scrivente sia sbilanciato nei propri giudizi e di parte non sbaglierebbe perchè è proprio così; davanti a certi geni della musica contemporanea non serve essere equilibrati e l’adulazione è un dovere.
L’ultima apparizione regionale degli stessi musicisti, come ha ricordato Velliscig nella sua introduzione, è stata con il doppio quartetto dei King Crimson in una movimentata, memorabile serata in piazza Maggiore a Palmanova (2019) con un fortunale che sembrava volersi portar via il palco con tutti i musicisti e il pubblico, ma che poi “chetatasi” la tempesta si rivelò un piccolo assaggio di paradiso.
Stick Men: Tony Levin (Chapmanstick, voce) Markus Reuter (Warr guitar) Pat Mastelotto (Batteria)
Per i puristi, e in questo caso non sono pochi, si forniscono i dati della scaletta dei concerti tratti direttamente dal borderò Siae dell’organizzazione, con autori del brano tra parentesi e minutaggio effettivo dell’esecuzione nella serata; essere più filologici di così è quasi impossibile, bisognava solo esserci per fare in modo che la fredda cronaca si tramutasse in torrida esperienza e, per chi non c’era, le parole non saranno mai abbastanza. Peccato!
“Kandi”: primo brano in scaletta è una composizione di Reuter (06:41) che imbracciava un Warr guitar (modello speciale della tedesca “Touch Guitars”) tra le corde e il cielo, e che da solo ha inizialmente disegnato un paesaggio di suoni, tracciando linee, curvature e profili all’orizzonte fino invitare gli altri musicisti ad accomodarsi in quello spazio sonoro scaturito dal suo strumento. I suoi compagni quasi esitando da dietro le quinte lo hanno raggiunto senza che la magia s’interrompesse neppure per un attimo. La prima impressione è che si trattasse di un’atmosfera come quelle create dalla colonna sonora di John Carpenter per il suo “1997: Fuga da New York”.
Imbracciato a propria volta il suo bizzarro monumentale Chapman Stick (anch’esso modello esclusivo della “Touch Guitars”) Levin assecondava le rasoiate e i ritmi pesantissimi dei suoi compagni con trame così compresse e aspre da far sembrare il lavoro di Mastellotto sulle pelli perfino paradossalmente melodico.
The Sheltering Sky (Belew, Fripp, Levin, Bruford, 08:23) Levin, canta per modo di dire, declamando piacevolmente il testo ricordando certi intensi lavori del Bowie più maturo come “1. Outside” che hanno tracciato il futuro della musica proprio rifacendosi anche a questo capolavoro dei King Crimson contenuto nell’album “Discipline” del 1981.
Tentacles (Levin, Reuter, Mastelotto, 06:37) con questo pezzo d’acciaio puro l’intensità si è fatta ancora maggiore con un impatto sugli ascoltatori di una mazza ferrata. Lo scorso anno il trio ha licenziato un mini album omonimo, la cui title track segnava il percorso di un prog contemporaneo scuro, da distopia retrofuturista e aggressiva, frutto di un frenetico scambio di files tra i musicisti isolati durante il lockdown pandemico, e si sente!
Durante il tour americano di promozione che si distingueva per un logo “diabolico”, una bambina del pubblico però gli donò un disegno che li ritraeva. I disegni infantili fecero breccia nel loro cuore aprendolo ad una nuova speranza.
Mastellotto, raccontando questa edificante storia da libro “Cuore”, ha riconosciuto che quei simpatici disegnini, ora riprodotti su una dimenticabile t-shirt ufficiale, rappresentano quello che loro sono “dentro” anche se la musica che suonano a volte sembra rivelare ben altro.
I loro suoni d’acciaio e pietra nascondono i cuori di tre omini di burro, patatoni e pacifici, come siamo tutti noi, anche se: “Veri pirati noi siam, contro il sistema lottiam, ci esercitiamo a scuola a far la faccia dura per fare più paura. Ma cosa c’è di male? Ma cosa c’è di strano? Facciamo un gran casino, ma in fondo lavoriamo per Capitan Uncino” che, si perdoni la licenza poetica, in questo caso potrebbe essere Robert Fripp.
Ringtone (Levin, Reuter, Mastelotto, 05:54) Ogni nuovo brano del concerto veniva introdotto a turno dai tre musicisti, con Levin che si sforzava di parlare in italiano con buoni risultati che, naturalmente, il pubblico dimostrava di apprezzare. Come eloquentemente svela il titolo, la composizione si ispira alle maledette suonerie dei telefonini, nel suo sviluppo gioca su tonalità e timbri pesantissimi anche se in realtà non si discosta troppo da alcune intuizioni degli ultimi King Crimson e non c’è da stupirsene perchè il trio ne fa parte da sempre, qualunque cosa sia diventata la creatura mutante di Robert Fripp.
Level 5 (Fripp, Belew, Mastelotto, Gunn, 05:36) Ironico e bonario Mastellotto dice che loro sono la band nella quale non si capisce per nulla quali siano i ruoli e chi faccia cosa; infatti grazie anche alla loro prodigiosa strumentazione, ognuno contemporaneamente passa dalla ritmica alle armonizzazioni, alla melodia e a volte ognuno suona tutte e tre insieme in modo diverso, così gli “uomini bastone” pur essendo solo in tre moltiplicano esponenzialmente le loro possibili interazioni e prospettive. Schemi, strutture di composizione e di ascolto diventano del tutto insensati e perdono completamente significato, per trasformarsi in un flusso ipnotico e magmatico del tutto inaudito.
Chi li ascolta deve lasciare ogni pregiudizio per immergersi senza paura in un fiume di esperienze lasciandosi trascinare dalla corrente. Ognuno di loro è perfettamente interscambiabile con gli altri pur restando insostituibile al medesimo tempo. In “quest’epoca di pazzi” nella quale non mancano gli “idioti dell’orrore” la famosa regola delle 5w (Who, what, where, when, why) è una questione di poco conto buona solo per i “marchettari” dello show business e, con tutto il rispetto, per le chiacchiere delle signore dall’estetista. Sono stereotipi e strategie narrative che vanno superate non per la loro inefficacia, ma perchè fasulle. La tentacolare musica degli Stick Men ci esorta a spingere i nostri limiti ad un livello superiore di percezione e di cognizione.
Breathless (Fripp 04:42) Corrosivo brano dall’epocale, enigmatico ed astratto “Exposure” primo album solista di Robert Fripp (1979). Il titolo “Senza fiato” dice bene di come ci si trovi durante e dopo aver ascoltato dal vivo un pezzo del genere. Non serve aggiungere altro, ci manca il fiato.
Crack in the sky (Levin, Reuter, Mastelotto, 05:00) tra le prime composizioni che il trio suonò insieme quattordici anni fa negli studi texani di Mastellotto dove si ritrovavano per le prove. Levin aveva scritto dei versi in memoria del fantastico chitarrista Allan Holfsworth che nella canzone recita così: “Ci hai lasciato a bocca aperta, mentre cadevi su attraverso una crepa nel cielo. Quando la tua voce colpisce teneri filamenti, non potrai più sussurrare chi sei poi perdonato dal tuo peccato e dalla tua tristezza, hai respirato su di noi, ci hai parlato, evocando memorie con la tua chitarra”. Il brano è dolce amaro, pensoso e nostalgico anche se sembra incredibile dirlo visto l’intensità delle tonalità e la densa foga esecutiva dei suoni.
Lark’s tongues in aspic, part 2 (Fripp, 04:28) anche se questo pezzo ha la bellezza di cinque decenni suona ancora come una terrificante esplosione nel cielo terso. Alcune altissime grida inserite nel tessuto sonoro sembrano proprio il disturbante, stridulo richiamo degli uccelli del titolo. Il brano, già assolutamente aggressivo con le sue famose progressioni, sembra essere ancora più prepotente e pesante come l’immaginario incedere di una betoniera a pieno carico lanciata a trecento allora in autostrada.
Red (Fripp, 06:04) capolavoro dei King Crimson usciti dalla prima fase propriamente prog, è vecchio di 50 anni ma è ancora avanti un secolo nel futuro per le sue innovazioni insuperate; la lettura e riproposizione del trio, naturalmente, non è stata per nulla pedissequa, ma semplicemente entusiasmante, ruvida e spaesante e abrasiva quel tanto che basta.
Mantra (Levin, Reuter, Mastelotto, 05:46) Mastellotto, con la solita verve, ha incitato il pubblico al battimani sui suoi ritmi impossibili cercando di spiegare i velocissimi cambi di velocità che a volte non sono troppo chiari nemmeno a lui. Ha poi aggiunto che nel corso degli anni si è accorto che ai concerti dei King Crimson la presenza maschile era pressochè assoluta, quasi che la loro musica fosse una “roba da uomini”. A guardare il pubblico dello Zanon di Udine non c’era da dargli torto.
Così il batterista ha pensato, insieme alla moglie Deborah Carter, cantante e astrologa, di rielaborare molti brani storici e nel giorno di san Valentino del 2021 ha licenziato il sorprendente, stravagante e delizioso: “The Mastellottos – A Romantic’s Guide to King Crimson”. Il lavoro ha una certa assonanza con quello di Fripp con la moglie Toyah e i loro video dei “Sunday lunch”; entrambe le coppie hanno voluto in qualche modo togliere l’enfasi, il sussiego e la prosopopea con la quale di solito ci si approccia alla loro arte che sa essere anche molto divertente e dolce. È certo una musica complessa, ma con un minimo di attenzione è davvero accessibile e piacevolissima per tutti.
Prog Noir:(Levin, Reuter, Mastelotto, 05:37) Di certo il trio degli “uomini bastone” predilige la parte più brutale e devastante di quel crogiuolo creativo che da più di dieci lustri è la Corte del Re cremisi. Non è nemmeno una novità, è noto a tutti che da almeno due decenni i suoni della creatura di Robert Fripp si sono fatti via via più duri, anche per l’entrata in “scuderia” delle pelli di Mastellotto.
I critici sempre alla ricerca di etichette annoverano addirittura i King Crimson come padri di quel Progressive Metal che ha influenzato profondamente la musica Heavy dalla fine degli anni ’70 fino ad oggi. Quando i King Crimson nel 2001 andarono in tour negli Stati Uniti con il gruppo dei Tool, leader raffinati e indiscussi del nuovo genere tra Prog e Metal, il confronto apparve evidente anche se Robert Fripp e i suoi musicisti affermarono, da veri gentiluomini, che anche i Tool li influenzavano a propria volta.
Danger in the workplace (Levin, Reuter, Mastelotto, 05:30) + Swimming in tea (Reuter, 10:00): un lungo medley, quasi una suite, per due splendide composizioni fuse insieme in una nuova dimensione luminescente. Levin sostiene scherzosamente che il primo è tecnicamente il brano più difficile che suonano insieme, gli riesce perfettamente solo un paio di volte durante un tour e perciò si scusa. Non si sbaglia per niente, è una musica veramente complessa, più difficile di così nemmeno Fripp avrebbe saputo disegnarla. Ma pur essendo cerebrale e cervellotica la sua bellezza è cristallina ed ha la purezza di una pietra dura dal perfetto taglio.
La seconda parte, introdotta da una voce femminile registrata, è più rilassante solo per modo di dire, di certo più dilatata ed estesa, ma inquietante allo stesso modo con le solite anticipazioni di futuri malati e catastrofici persi in meccaniche illusioni, ma nonostante queste asperità fila liscia come uno scafo veloce e leggero a pelo d’acqua.
Schattenhaft (Levin, 04:31) Levine e Reuter si trovarono a Berlino in un inverno freddo e scuro, per comporre musica insieme. Il risultato fu un album di dark prog di cui questa breve sinfonia delle tenebre berlinesi è un assaggio. La grana dei suoni è stata anche, in questo caso, ossessiva e minimale, tanto da far venire in mente pensieri neri anche all’ascoltatore più distratto e rassegnato.
Ci si trovava come immersi in un’allucinazione tra il cemento armato delle periferie metropolitane e l’alienante solitudine di raccordi autostradali, mentre si spalancavano voragini d’acciaio in deserte distanze di luoghi inabitabili e inaccessibili; sembrava la colonna sonora del film che Werner Herzog non riuscirà mai a fare alla “conquista dell’inutile”.
Tutti quei pochi spettatori, che magari non conoscendo il prodigioso lavoro del trio ma anche degli stessi King Crimson in questi ultimi decenni, si aspettavano un nostalgico rimuginare dei bei vecchi tempi andati del Prog, sono di certo rimasti delusi dalla serata; per tutti gli altri sono stati momenti di estasi pura al cospetto di tre autentici Re di Bastoni che, come quelli degli arcani dei tarocchi direbbe Deborah Carter Mastellotto autrice di “The Tarot Primer”, rappresentano l’autorità illuminata, la giusta visione del futuro, le brucianti passioni, e l’equilibrata onestà di mediare tra un passato glorioso e un luminoso domani della musica.
Foto di Giancarlo Peressotti
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