Piazza Grande a Palmanova è un luogo davvero suggestivo per un concerto, così com’è tutta la città stellata.

Pensata e costruita per essere una fortezza inespugnabile dai Veneziani, di fatto lo è stata perché nessuno l’ha mai assediata. Costruita per le truppe e per la guerra, oggi fortunatamente a livello strategico è del tutto inutile, così le uniche truppe in formazione che la percorrono sono quelle dei turisti o dei tanti spettatori che accorrono per la stagione dei concerti. Bene ha fatto Azalea Promotion a proporre Steve Hackett tra i tanti artisti di una stagione fittissima di eventi di grande richiamo.

Il grande chitarrista è sempre amatissimo dal pubblico friulano e di fuori Regione, che non manca mai ai suoi meravigliosi concerti. E’ vero che l’età media degli spettatori non è tra le più acerbe, ma è anche vero che non esiste solo la musica per gli adolescenti che muore quando la malattia sparisce perché chi ne era affetto diventa adulto. Esiste anche una musica assoluta, senza tempo e quella dei Genesis del periodo Progressivo è di certo della partita.

Alle 21.30 precisi al secondo come un orologio svizzero si inizia ed è subito magia, tra atmosfere di fiaba evocate dal Tin Whistle di Rob Townswnd per una composizione dall’ottimo repertorio solista del chitarrista nel dopo Genesis.

La prima parte del concerto si chiama infatti “Hackett Highlights”. “Ace of Wands” è un brano divertente e ritmato decisamente progressivo tanto per cominciare subito a sognare. Fa parte dell’album “Voyage of the Acolyte” (1975) primo album solista del chitarrista pubblicato quando formalmente faceva ancora parte dei Genesis in piena crisi creativa dopo la fuoriuscita di Peter Gabriel. Vista la collaborazione di Phil Collins e Mike Rutherford alla registrazione, gli appassionati lo considerano quasi un disco della band anche perché le orchestrazioni e gli arrangiamenti, i suoni e le tematiche esoteriche sono gli stessi.

Hackett dal palco di Palmanova, dopo l’introduzione musicale, insolitamente loquace, parlando un po’ in italiano, ha raccontato al pubblico delle tante lingue che si è sforzato di parlare durante l’ultimo tour che ha visto come penultima tappa la città stellata e che il giorno seguente si sarebbe concluso in Polonia.

Sono stati due anni davvero intensi per il chitarrista e la sua band salpati celebrando il live “Seconds Out” e approdati con il cinquantenario del fantastico album “Foxtrot” sempre all’interno del progetto “Genesis Revisited”: “Quest’anno è stato un vortice continuo in tour continuando a riguadagnare il tempo perduto durante il lockdown quando non è stato possibile fare concerti per diciotto mesi” come scrive Hackett nell’elegante tour book.

Affascinante e luciferino il secondo brano, “The Devil’s Chatedral” inizia con una vera e propria ouverture d’organo da chiesa di Roger King e il sax di Rob Townsend che si aggiunge beffardo lasciando poi spazio al cantante, il sempre ottimo Nad Sylvan che da tanto segue i progetti del chitarrista. Il sound è piuttosto complesso e dall’effetto creepy e possiede la rigorosa bellezza geometrica di tutte le composizione del mago della 12 corde, senza mai una sbavatura, un universo di suoni perfettamente matematico e risolto per un piacere purissimo nell’ascolto.

Intanto il cielo si è parecchio rannuvolato e comincia a vedersi qualche inquietante lampo, in questa strana estate fatta di eccessi e di imprevedibili eventi che di matematico hanno ben poco.

Quasi a voler riportare il sereno risuona “Every day” che è una canzone solare e luminosa con coretti West coast che sembrano sognare la California con divertenti riff e un assolo di chitarra come solo Hackett sa fare che la rendono ancora più interessante.

Nella successiva “Camino Royal” il chitarrista canta come fa raramente e lo fa con una voce calda e bassa lontanissima dai soliti falsetto che accompagnano la sua musica. Molto intenso l’intermezzo del sax tenore per un momento jazzato di grande valore che impreziosisce il brano cui naturalmente si aggiunge il lungo arpeggiare della chitarra. Molto apprezzabile, almeno in questa fase, il gioco di luci ridotto al minimo proprio per non distogliere l’attenzione del pubblico dalla musica con i soliti “effetti speciali”.

Shadow of the Hierophant” inizia con un fiabesco suono di Carillon, è un brano circolare che in un continuo loop di tre accordi continua a riavvolgersi su se stesso.

Steve Hackett’s Foxtrot at Fifty.

Senza por tempo in mezzo e cioè senza la pausa di rito tra i due set, vista la minaccia del temporale, inizia la seconda parte del concerto con l’esecuzione integrale del magnifico Foxtrot, prima incarnazione del genio assoluto della formazione classica dei Genesis. “Spero possiate godere di Foxtrot suonato nella sua interezza, un album avventuroso di un’epoca straordinaria che sembra solo ieri”.

Naturalmente si comincia con l’inquietante “Watcher in the sky” tra fantascienza e barocchismi con un’introduzione alle tastiere magistrale e indimenticabile. A rendere l’esecuzione ancora più intensa e imprevedibile il forte vento che soffiava sul palcoscenico di Palmanova, le cupe nuvole del temporale con lampi e tuoni.

I roadies indaffaratissimi erano impegnati in un’improbabile lotta con il traliccio che sosteneva le velature nere a fondo palco. Dopo vari pericolosi ondeggiamenti e spencolamenti, la “bestia” è stata vinta e atterrata e i tendoni riavvolti. Durante tutto questo trambusto la band, con Steve Hackett in testa, non ha perso una singola battuta, il brano è stato eseguito con perfezione chirurgica, come sempre.

Ricorda il chitarrista che la canzone: “fu architettata a partire dal crescendo degli accordi di Tony Banks che mescolò i suoni di archi, ottoni e fisarmonica con il Mellotron per creare quell’effetto potentissimo. A me ha sempre suggerito l’idea di un’astronave che atterra.”

Time Table” ruota attorno ad un romantico suono di pianoforte che connota un brano molto dolce e apparentemente privo di grandi asperità. E’ una ballad dai tenui colori pastello, che sfumano in un dolcissimo tramonto.

Più sostenuto e nervoso “Get’em out by friday”, mentre dal cielo comincia a cadere qualche dispettoso gocciolone. E’ vero che è musica per un pubblico seduto come spesso qualcuno sentenzia con un malcelato disprezzo. Purtroppo alcuni non sanno andare al di là della musica come mero intrattenimento e semplice eccitazione dei sensi più bassi e grossolani.

Per altri, che non sono né migliori né peggiori, ascoltare con attenzione, lasciandosi portare dai pensieri e dalle emozioni è l’unico modo di confrontarsi con certi suoni che, pur passando dalle viscere, colpiscono direttamente il cuore e poi il cervello; è solo questione di gusti. Il testo scritto da Peter Gabriel riguarda la tragedia degli sfratti e della speculazione edilizia nei quartieri popolari delle giungle di acciaio e cemento armato nelle quali viviamo. Un brano ancora di stretta attualità. Davvero bizzarro, ma a tratti desolante, il riferimento alla teoria fantascientifica che risolverebbe il problema del sovraffollamento con la selezione genetica di inquilini fisicamente più minuti. Ballard non avrebbe saputo pensare di meglio.

In Can-utility and the Coastliners anche il bassista prende la chitarra per accompagnare ritmicamente Hackett con una seconda voce. Sobrietà è un’altra parola che si adatta allo stile del chitarrista di Pimlico che è quello di un imperturbabile gentleman elegante e pulito esattamente come la musica che compone ed esegue.

Senza concedersi nemmeno un attimo di respiro passa immediatamente alla chitarra acustica dove s’impegna in quella sua ennesima preziosissima opera d’arte: “Horizons fu ispirata sia da Bach, sia ai brevi pezzi in stile Tudor di William Byrd, allo stesso modo che al sentimento del sole che sorge visto da una barca in mezzo al mare”.

Viene l’atteso momento dell’incommensurabile “Supper’s Ready” per la quale i superlativi non sono mai abbastanza. E’ un brano talmente magico che, ci si creda o no, alle prime note, su Palmanova che fino a poco prima minacciava terribili rovesci con i suoi lampi e la sua brezza maligna, d’un tratto si era rasserenato.

La lunga suite è sempre teatrale e speziata proprio come uno se l’aspetta. L’esecuzione è inappuntabile ed è un viaggio a bordo del meraviglioso ottovolante della mente piuttosto confusa di un adolescente.

Il flauto traverso e la chitarra mettono i brividi anche dopo averli ascoltati migliaia di volte in tutte le variazioni possibili. La versione di Hackett, in alcuni istanti, è se possibile ancora più dura, tagliente e drammatica, estremamente virtuosistica, ancora più dilatata e di certo trionfale.

Proprio con questo brano iniziarono i clamorosi travestimenti di Peter Gabriel, la testa di volpe, il mantello sgargiante, il vestito lungo di sua moglie. Il cantante Nad Sylvan intelligentemente riduce tutto a pochi elementi di scena, un cannocchiale, degli occhiali con i led rossi, una piuma d’oca con la quale fa finta di scrivere, un piccolo tamburello. Elegante e mai sguaiato come da par suo.

Un’autentica meritata ovazione generale segue la fine di un capolavoro da togliere il fiato, il bis è automatico e assolutamente nell’ordine delle cose. Non è necessario ripetere gli elogi e gli atti di venerazione per quell’opera d’arte sconvolgente che è “Firth of Fifth”, basterà solo dire che perfino il ritmico battimano del pubblico sembrava previsto e scritto in partitura tale era la perfezione dell’esecuzione. Poche chiacchiere, questo brano contiene il miglior insuperabile assolo di chitarra della storia del rock progressivo con l’intro al pianoforte più bella di questa parte d’universo.

Eccezionale e divertente il solo del bassista Jonas Reingold con battimano e vari vocalizzi cui segue il rituale momento riservato al batterista Craig Blundell, parossistico, fracassone ma anche capace di un delicato gioco di piatti e di campane.

Con “Los endos”, tradizionale chiusura di tutti i concerti di Hackett, termina una pagina di musica straordinaria e indimenticabile.

Non ci resta che aspettare le delizie del nuovo capitolo del Genesis Revisited tour, che siamo sicuri, non tarderanno troppo ad arrivare.

If you go down to Willow Farm, to look for butterflies, flutterbyes, gutterflies, Open your eyes, it’s full of surprise”.

© Flaviano Bosco – instArt 2023