Lo straordinario successo della manifestazione di Lignano ha fatto piazza pulita delle solite vergognose attestazioni di aperta ostilità da parte di molte istituzioni, mancato patrocinio Comune di ospitante compreso, e degli autentici insulti a mezzo stampa veicolati dalla parte peggiore dei social.

Non si può non citare l’ultimo “papocchio” in ordine di tempo del Comune di Udine, seguito anche da quello di Porpetto, che hanno dato il patrocinio alla manifestazione come se si trattasse di una sfilata di carnevale, negando però l’adesione al manifesto considerandolo “un documento di contenuti e intenti estranei all’operato di una amministrazione comunale e che, anche legittimamente, illustra diverse e variegate istanze della comunità” come ha dichiarato il sindaco De Toni.

Esemplare la risposta degli organizzatori del Pride Fvg che nel rifiutare questa “elemosina” con un comunicato che esprime delusione hanno rilanciato sui diritti: “Riteniamo che in un periodo storico come quello presente, caratterizzato da una crescente marginalizzazione della nostra comunità, occorrano scelte e azioni coraggiose, che sappiano abbattere il muro della discriminazione che viviamo”. (www.udinetoday.it)

Ancora più esplicite e veementi le parole di Alice Chiaruttini, presidente del Pride FVG, alla fine del gioioso corteo di Lignano, che, con ironia e determinazione straordinarie, le ha cantate chiare a tutti quelli che non perdono occasione per insultare e denigrare manifestazioni così luminosamente democratiche.

Nella seconda parte di questa recensione giustamente indugeremo nella descrizione di quel fuoco d’artificio di gioia che è stata la festa, il corteo con migliaia di persone felici dai mille colori dell’arcobaleno, i musicisti, i party, gli amori, le lacrime e i tanti sorrisi che ci hanno reso tutti migliori.

E’ sembrato però, prima di tutto, di estrema urgenza sottolineare che, sotto il legittimo, gioioso divertimento, il Pride è soprattutto portatore di civili e democratiche rivendicazioni e istanze politiche di giustizia e libertà senza il rispetto delle quali la società nel suo complesso è in gravissimo pericolo, oggi più che mai. Il Pride è una politica riappropriazione degli spazi democratici di cittadinanza che mette in campo la libertà dei corpi come confine invalicabile contro l’oscurantismo e ogni forma di oppressione.

Nelle righe che seguono si prega perciò di perdonare la pedanteria e le lunghe necessarie citazioni che hanno il solo scopo di mettere a confronto alcune delle legittime, strutturate proposte del Pride FVG e le quantomeno discutibili, sedicenti politiche sociali in atto a livello regionale e nazionale.

Come scrive il tanto vituperato Manifesto del Pride Fvg 2024, la situazione di tutte le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ è decisamente peggiorata dall’insediamento del governo di estrema destra a guida Meloni. Nel corso dell’anno si sono susseguite a ritmo vertiginoso inquietanti restrizioni delle libertà personali in tutti gli ambiti della vita politica e sociale del paese che lugubremente ricordano le peggiori derive dei regimi oscurantisti tristemente famosi.

Giusto per fare un primo esempio dell’atmosfera tetra che “attosca” anche il nostro territorio, basta dare una scorsa alle recenti dichiarazioni a riguardo dell’Europarlamentare Annamaria Cisint votata in Regione da 42978 persone su più di un milione di aventi diritto (1.048.166 elettori) (www.messaggeroveneto.it).

E’ proprio necessario leggere il comunicato da cima a fondo per comprenderne il livore, la protervia e l’intransigenza che, purtroppo, qualcuno riesce perfino a definire coerenza, integrità e buonsenso. E’ una sorta di compendio a tutte le strumentali accuse che sono state rivolte al Pride FVG negli ultimi mesi.

La lettura della trentina di pagine del manifesto che accompagna l’evento – rileva l’europarlamentare e già sindaco della città Anna Maria Cisint – lascia sconcertati per la rappresentazione di proposte e visioni radicali estremiste.

La manifestazione viene abitualmente sbandierata come occasione per promuovere i diritti civili, per carpire la più ampia buonafede ai fini della partecipazione, ma la realtà è profondamente diversa. I propositi affermati non riguardano soltanto i soliti pregiudizi della sinistra che si oppone al quadro politico del centro destra e ai processi di riforma dell’autonomia e del premierato, ma va ben oltre con la finalità di scardinare fondamenti e valori della nostra società.

A cominciare dalla cancellazione del Concordato, l’eliminazione dei crocifissi dalle scuole e l’abolizione dell’ora di Religione. Come non essere allarmati e preoccupati anche per il significato che assumono le affermazioni riguardanti la situazione in Palestina se la resistenza di Hamas viene considerata come una battaglia in cui identificarsi.

Al centro delle varie richieste si colloca quella per una legge per regolare la pratica dell’utero in affitto, in contrasto con le nostre leggi e i nostri principi. Non basta contrastare il Pride per le sue posizioni politico-partitiche, ma si deve far conoscere il carattere eversivo dei suoi contenuti radicali che minacciano i principi della nostra democrazia.

La tutela delle libertà deve conciliarsi con il rispetto dei diritti di tutti gli altri e non sono accettabili rivendicazioni che umiliano una parte della società, la dignità delle donne e vilipendono la religione. Non a caso non c’é alcun richiamo, nel loro manifesto, al rispetto e alla tutela delle donne musulmane, poste su un piano di subordinazione e sopraffazione, né per le violenze subite sino ai matrimoni forzati dalle minori islamiche”. (www.cafetv24.it)

Nel frattempo il Comune di Monfalcone sta tentando di bloccare il previsto spettacolo “The beat of freedom. La Resistenza a fumetti” di Marta Cuscunà sulla lotta di Liberazione e la Resistenza contro il nazifascismo perchè “non contribuisce al complessivo miglioramento della vita dei cittadini”. Per alcuni probabilmente anche l’antifascismo è un contenuto di carattere eversivo che minaccia la nostra Democrazia.

Si è chiuso nei giorni scorsi a Rimini il 45° Meeting di Comunione e Liberazione che da sempre è potentissimo strumento del peggiore potere patriarcale della frangia più bigotta e retriva della Chiesa cattolica. Tra le autentiche ossessioni dei promotori c’è la fantomatica “Teoria del Gender” con la scusa della quale si vogliono screditare e spesso ridicolizzare, in buona sostanza, le istanze democratiche dei movimenti LGBTQIA+ .

La chicca di quest’anno è stato l’intervento di padre Giorgio Carbone, un prete domenicano che ha citato il risultato di uno studio approfondito sulla popolazione danese svolto da due ricercatori – M. Frisch e J. Simonsen – e pubblicato nel 2013 nell’International Journal of Epidemiology. Si chiama “Matrimonio, coabitazione e mortalità in Danimarca: studio nazionale su 6,5 milioni di persone seguite per tre decenni (1982-2011)”. Lo studio è citato a pagina 65 del libro “Gender – L’anello mancante?”, appunto scritto da padre Carbone,

Lo studio sostiene che ci sarebbe una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari, polmonari, HiV e chi più ne ha più ne metta compresa la tendenza alla depressione e al suicidio tra le coppie gay rispetto a quelle etero. La domanda è, al di là delle percentuali che riguardano il popolo danese: qual è la correlazione tra queste malattie e l’orientamento sessuale? Negare il riconoscimento legale delle coppie omosessuali come esorta a fare padre Carbone sarebbe una buona profilassi? (www.gay.it)

Uno dei punti cardine del Manifesto, s’intitola: “Giù le mani dalle famiglie” e affronta una delle tematiche più spinose e strumentalizzate dalla politica.

Tra le associazioni che si occupano fattivamente di promuovere una maggiore attenzione nei riguardi delle nuove famiglie, portandone alla luce problematiche e risorse, va di certo ricordata Agedo costituita da genitori, parenti, amici e sostenitori di persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ che a Udine è guidata dall’elegante, infaticabile determinazione di Anna Masutti, supportata dalla sua splendida famiglia Queer.

Al Pride FVG è stato, come sempre, davvero toccante vedere l’amore tra genitori e figli, nel senso più largo che si può dare a questi termini, fiorire nei suoi mille colori dal corteo del movimento. Mentre nelle istituzioni si blatera ipocritamente ancora attorno al frusto concetto di “famiglia tradizionale” che non è mai esistita nemmeno ai tempi di Matusalemme, nel paese, per fortuna, qualcosa è già cambiato da un pezzo.

Il vocabolario Treccani ha incluso nell’aggiornamento ai neologismi 2023 la seguente voce: Famiglia queer (queer family) loc. s.le f. Comunità di persone che, indipendentemente dal genere d’appartenenza o dall’orientamento sessuale, vivono insieme per scelta e sono legate da affinità affettive, sentimentali e dalla condivisione delle attività.

«Mi rimangono mesi di vita, e ho deciso di sposarmi. Mi restano mesi. Mi sposo perché lo Stato chiede un ruolo: mio marito saprà cosa fare. Spargete le mie ceneri nell’oceano di Corea. Ho comprato casa con 10 letti per la mia famiglia queer. Spero di non morire finché la Meloni è premier».

Michele Murgia si confida con il Corriere. [Michela Murgia] Io non sono sola. Ho dieci persone. La mia queer family. [Aldo Cazzullo] Come tradurrebbe queer family? [Murgia] Un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli. Parole come compagno, figlio, fratello non bastano a spiegarla. Non ho mai creduto nella coppia, l’ho sempre considerata una relazione insufficiente. Lasciai un uomo dopo che mi disse che sognava di invecchiare con me in Svizzera in una villa sul lago. Una prospettiva tremenda. (Michela Murgia, intervistata da Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 6 maggio 2023, p. 1)

Essì, perché, rispetto alla famiglia monogamica, costituita da un genitore, una genitrice e la loro prole, nella famiglia queer le persone adulte sono più di due. E non stupisce così che, nell’indomabile compulsione al voyeurismo, l’interesse del pubblico s’accentri perlopiù sull’organizzazione della vita sessuale. Fa bene quindi Michela Murgia a insistere sull’aspetto dell’organizzazione più che su quello sessuale. Come in tutte le collettività umane, piccole e grandi, non rileva tanto chi fa sesso con chi, ma chi fa cosa e quando. Come ogni famiglia, la famiglia queer è fondata su uno speciale rapporto d’interdipendenza tra persone che condividono una parte rilevante della loro vita e si accordano sulla gestione orchestrata delle incombenze. (Mariano Croce, Domani.it, 6 luglio 2023, Cultura)

[…]

Che cos’è una famiglia queer, [Michela Murgia] l’ha spiegato a più riprese, attraverso interviste e video sui suoi profili social: «Una famiglia ibrida, fondata sullo ius voluntatis, sul diritto della volontà». Una cerchia di persone che si scelgono, al di là dei legami di sangue: «Perché la volontà deve contare meno del sangue?». (Sara Scarafia, Repubblica.it, 11 agosto 2023, Cultura).

Un altro tema caldo sul quale ci si accapiglia è quello dell’istruzione che nel nostro paese ha visto susseguirsi decine di riforme che paradossalmente sembrano solo averne aggravato la già precaria condizione.

Il manifesto del Pride FVG chiede a gran voce una “Garanzia dell’educazione alle differenze, chiediamo che nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (Ptof) di ogni scuola pubblica sia garantita una vera educazione all’affettività, alla sessualità e al consenso, così come alle differenze, attuata di concerto con i soggetti competenti e adeguata all’età dell3 studenti, che coinvolga anche la famiglia, improntata sui principi democratici del rispetto e dell’accoglienza di ogni diversità”.

Nel frattempo mentre, per esempio, un coordinamento di associazioni propone nelle scuole del FVG il sacrosanto progetto “A scuola per conoscerci ODV” per la prevenzione e il contrasto del bullismo omolesbobitransfobico. A livello nazionale fa notizia la sorprendente presa di posizione di Filomena D’Antini, garante nazionale per la parità di genere che ha stroncato di netto l’iniziativa, approvata dal collegio docenti e sostenuta dall’amministrazione comunale, dell’istituto scolastico elementare di Guagnano (LE) di adottare per tutti gli allievi un grembiule verde a quadretti per “superare la tradizionale distinzione tra rosa e blu, considerata giustamente veicolo di stereotipi di genere con l’obiettivo di promuovere un’educazione più inclusiva, basata su uguaglianza e libertà di genere”. (www.orizzontescuola.it)

D’Antini, sorella di Pio D’Antini del duo comico Pio e Amedeo, con alle spalle una lunga militanza in Forza Italia, ma molto vicina alla premier Meloni sostiene che: “La parità di genere non si ottiene con un colore neutro. Il compito della scuola è formare e istruire, non appiattire le differenze”. Considerazioni che si commentano da sole.

Un altro inquietante segnale su ciò che sta succedendo in Regione, riflesso del non tanto velato sostegno politico ai gruppi apertamente fascisti anche a livello nazionale, è il tributo da parte di una squadraccia di teste rasate di Forza Nuova a Dominique Venner, estremista di destra e ultranazionalista francese.

“Onore a Dominique Venner Samurai d’Occidente” recitava un inqualificabile striscione. Il sindaco Ciriani ha definito un comitato dei propri cittadini (Il bene comune Pordenone), che legittimamente protestavano contro l’esaltazione di un tale criminale, come “arnesi del nostalgismo anni ’70…estrema sinistra pordenonese. Un gruppo di esaltati che, di volta in volta, cambia nome proponendosi una volta come gruppo ambientalista, poi come pro immigrati o ancora come comitato antifascista” Come se si trattasse di insulti. Il prefetto ha minacciato duri interventi repressivi per garantire la libertà di espressione di tutti ottenendo l’effetto, non voluto, di garantire quella dei fascisti e limitare quella di chi gli si oppone civilmente.

Tanto per capire la caratura dell’uomo, Dominique Venner, omofobo, antiabortista, islamofobo e integralista cattolico si suicidò nella Cattedrale di Notre Dame de Paris il 21 maggio 2013.

Nella sua lettera d’addio esprimeva tutta la protervia e il suo rancore per la società moderna che, secondo lui, è degenerata nei costumi a causa delle cosiddette “Sostituzioni etniche” e sono le medesime fisime di molta parte dell’attuale classe politica italiana.

«Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità del destino. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari, prima su tutti la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà millenaria. Mentre difendo l’identità di tutti i popoli a casa propria, mi ribello nel contempo contro il crimine che mira alla sostituzione dei nostri .»

A questo tipo di visione retriva e xenofoba il Pride Fvg e tutto il movimento Queer che l’ha sostenuto ha contrapposto una prospettiva di autentica libertà e inclusività in grado di garantire i diritti di tutt3 nel rispetto delle differenze, per un mondo migliore e possibile.

Un’intera generazione di giovani italiani scoprì per la prima volta nel 1988 la commovente bellezza e inclusività di una famiglia queer attraverso il romanzo d’esordio della ventitreenne scrittrice giapponese. Banana Yoshimoto in “Kitchen” raccontava di una sua immaginaria coetanea, rimasta orfana, che veniva adottata da una meravigliosa famiglia nella quale il padre, dopo la tragica morte della compagna, si è trasformato anche fisicamente in donna per poter meglio accudire e crescere il figlio. Naturalmente, la vicenda narrata ha anche risvolti altamente drammatici e cupi. La lettera-testamento della madre si legge:

“A Yūichi

E’ una sensazione stranissima scrivere una lettera al proprio figlio. Lo faccio perchè negli ultimi tempi ho avvertito un senso di pericolo per la mia vita, solo per quella probabilità su diecimila che possa accadermi qualcosa. E’ un po’ anche per scherzo sai. Per leggerlo tutti e due insieme e farci qualche risata.

Yūichi, rifletti bene a quanto ti dirò. Se io dovessi morire tu resteresti solo. Proprio come Mikage. Capiresti che significa. Noi non abbiamo nessun parente. Quando sposai tua madre i suoi ruppero ogni rapporto con noi, e ho saputo che, quando sono diventata donna, mi hanno maledetta. Non pensare assolutamente di metterti in contatto con i tuoi nonni. Intesi?

Yūichi, nel mondo ci sono tanti tipi di persone. Per me è difficile capirlo, ma c’è gente che ama rotolarsi nel fango; persone che fanno di proposito del male, che cercano di attirare l’attenzione degli altri e poi ne rimangono loro stessi intrappolate. E’ un comportamento che non riesco a capire. Per quanto anche loro possano soffrire, non riesco ad averne compassione. Io ho rischiato, ma ho vissuto in allegria. Sono bella, Risplendo. Attirare gli altri, anche se a volte non sono le persone giuste, è una cosa a cui sono rassegnata, è come pagare una tassa. Se dovessi essere uccisa, sarà un incidente. Non immaginare niente di strano. Ricordami come mi hai sempre conosciuta.

Avevo pensato di scrivere questa lettera al maschile, e mi sono sforzata di farlo ma, strano, mi vergognavo e la penna si rifiutava di scrivere. Anche se sono una donna ormai da tanto tempo, credevo di essere ancora, in una parte di me, uomo, veramente uomo. Questo in fondo è solo un ruolo, mi dicevo. Invece ormai sono donna, corpo e anima. Sono tua madre in tutti i sensi. Che discorso! Mi viene da ridere.

Io amo la mia vita. Essere stata uomo, avere sposato tua madre, essere diventata donna dopo la sua morte e avere vissuto da donna, averti educato e averti visto diventare grande, aver passato con te anni felici per entrambi…vissuto tutti e due felici…avere preso Mikage con noi! E’ stata la più grande gioia. Come vorrei vederla in questo momento. Anche lei è una mia figlia carissima.

Ecco che divento sentimentale!

Dai un abbraccio a Mikage. Dille da parte mia di non schiarirsi mai i peli delle gambe davanti a un ragazzo. Fa una pessima impressione. Anche tu lo pensi, no? […]

Eriko”

(Banana Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, Milano 1994, pag.51-52)

(Continua)

Flaviano Bosco / instArt 2024 ©