Emozionante concerto degli Eternal Love, quintetto di Roberto Ottaviano, al circolo Il Carso in Corso in una delle vie centrali della città dei cantieri. Marco Colonna (clarinetto basso), Alexander Hawkins (Piano), Giovanni Maier (Contrabbasso), Zeno de Rossi (Batteria), Roberto Ottaviano (Sax soprano, voce).
L’ensemble presentava il suo terzo lavoro “People” registrato live in giro per l’Europa, dedicato per l’appunto alle tante persone con cui i musicisti hanno condiviso percorsi ed emozioni lungo la strada dei concerti e dei “suoni di confine e d’avventura” come li ha definiti lo stesso Ottaviano.
Monfalcone è una piccola città dalle mille contraddizioni più una. Anche se spesso di malavoglia è multiculturale, contaminata, sempre in costruzione e divenire; tutta sbagliata e sempre tutta da rifare, viva e aperta nonostante coloro che la vorrebbero morta, musealizzata, ordinata come una caserma e in pieno regime di apartheid con nemmeno un luogo libero dove poter pisciare o pregare, si perdoni la volgarità, ma per qualcuno nella città dei cantieri sembra si tratti della stessa cosa.
Si commenta da sola la vergognosa vicenda cittadina che contrasta apertamente con gli articoli 3, 7, 8, 19, 20, 21, 117 comma 2 lettera C della Costituzione della Repubblica Italiana che tutelano il sacrosanto diritto alla libertà religiosa.
Quest’ultima è un diritto talmente consolidato nella giurisprudenza internazionale da avere le sue prime attestazioni documentali nei celebri editti di Ashoka nel III sec. a.C. in un regno di cui faceva parte l’attuale Bangladesh da cui proviene la maggior parte dei lavoratori del cantiere di Monfalcone. Qualche amministratore della città dovrebbe dargli un occhiata, magari nel tempo libero:
“Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui, abbassa il proprio, credendo d’esaltarlo”.
La città si dice giustamente fiera da sempre dei suoi cantieri navali, ma spesso sembra non capire che le grandi navi che solcheranno i luccicanti mari di marmellata del crocerismo transoceanico, vengono costruite con il sudore di tanti che sono persone portatori di diritti, desideri, emozioni e bisogni e non solo animali da soma.
Non sono solo braccia, ma cuori, sentimenti e legami con i quali bisognerebbe creare rapporti umani e di condivisione, scavalcando e non erigendo barriere culturali e di tagliente filo spinato.
Purtroppo la soluzione è stata quella, contro ogni logica, di proibire la preghiera di gruppo ai mussulmani perfino durante il mese santo del Ramadan. Per evitare proteste e “assembramenti” in piazza della Repubblica si è deciso di transennarla, un vero e proprio atto di autolesionismo per Monfalcone che con la sua lunga storia di Resistenza e Libertà si meriterebbe ben altro.
Un’immagine finita sulle principali testate nazionali sintetizza il dramma di una città che con la scusa dell’ordine pubblico nega sacrosanti diritti ai propri stessi cittadini attuando misure di vera e propria segregazione.
Proprio per tutti questi motivi, non c’era luogo migliore per un concerto degli Eternal Love la cui musica è un vero e proprio balsamo per l’anima e perfino una sorta di laico rito apotropaico in grado di diradare le maligne tenebre dell’ignoranza e della xenofobia che ottenebrano le menti di alcuni che non sanno che l’Eterno Amore abbraccia ogni cosa e vince su tutto, sempre.
Il Carso in Corso è un covo di pirati che ha per vessillo la nera bandiera del Jazz. Dopo varie “avventure” di gestione anche prestigiose, ora si apre solo in occasione di eventi ai quali non mancano di accorrere legioni di appassionati che, tra salumi e formaggi innaffiati da vino genuino e qualche birretta, possono godersi eccezionali momenti di musica e riflessione come questo degli Eternal Love organizzato da Luca d’Agostino e la sua ciurma di corsari di “Estensioni Jazz Club Diffuso” che da alcuni anni portano la musica d’improvvisazione proprio là dove nessuno se lo immaginerebbe solcando i mari della libertà, perchè come dice Bennato: “Veri pirati noi siam! Contro il sistema lottiam! Ci esercitiamo a scuola a far la faccia dura per fare più paura!”
Dopo tante chiacchiere è finalmente giunto il momento di occuparci della descrizione di alcuni dei meravigliosi brani eseguiti dagli Eternal Love a Monfalcone, ben consci che non è proprio possibile restituire integralmente quelle eteree emozioni; perciò si chiede ai lettori di queste righe un atto di fiducia nei confronti di chi le ha scritte, con la garanzia che tutto potrà essere confermato, alla prima occasione, sui palcoscenici di un prossimo futuro dai musicisti stessi.
At The Wheel Well (N.Kypourgos): Ottaviano e Colonna disegnano un primo tema dall’afflato para-liturgico che sembra una nenia religiosa per una processione che l’archetto del contrabbasso di Maier sottolinea fino all’esplodere della batteria e del pianoforte che drammatizzano un incedere solenne e ispirato. In realtà è il tema del film “The Cistern” di Hristos Dimas che rievocando la lontana estate spensierata di alcuni ragazzi in realtà tratteggia la tragedia della crudele dittatura dei colonnelli in Grecia.
Mong’s Speakin’ (Ottaviano) Un cambio repentino di ritmi contrappone la liturgia laica alla festa luminescente e solare che il sax soprano di Ottaviano sa far cantare e brillare in una danza scatenata e indiavolata cui risponde la voce profonda del clarinetto basso che Colonna sa tropicalizzare e restituire ad una gioia tutta da urlare dal fondo dei polmoni.
Il pianoforte di Hawkins ricama sorrisi, lampi e sguardi di un’atmosfera selvatica e intrigante come l’ancheggiare scuro di una ragazza con le vibrisse e la coda di una pantera ed è tutta un’Africa immaginata e sognata nel tramonto di un’idea. Il brano è dedicato al fantastico trombettista Sudafricano Mongezi Feza che tanto ha dato alla musica d’avanguardia non solo per quanto riguarda il Free jazz o le forme d’ibridazione e contaminazione tipiche di Mother Africa, ma anche per il rock progressivo più immaginifico e sperimentale (Centipede, Henry Cow).
Ottaviano dice che ha perso la logorrea di un tempo tra un brano e l’altro, ma è bellissimo starlo ad ascoltare mentre si rivolge pacatamente al suo pubblico, a volte rincorrendo i pensieri. Descrive perfettamente il circolo definendolo un luogo riscaldato umanamente. Suonano insieme da 5 anni come una famiglia, non come un semplice progetto musicale, ma come una famiglia coinvolta in un percorso esistenziale comune.
La musica è una sorta di antidoto ai veleni che ci intossicano: l’indifferenza, la xenofobia, l’avidità; veri e propri mostri che la cupida brama di denaro ha evocato dagli inferni dell’ingordo capitalismo che ci ammorba. La Rivoluzione e la Resistenza oggi passano anche dalle mani e dai cuori dei musicisti e di chi li sa ascoltare. Il jazz è sempre stato un grido di dolore e di libertà, Ottaviano e i suoi musicisti dimostrano che è ancora così, senza compromessi.
Hariprasad (Ottaviano) Avventura e mistero nei luoghi in chiaroscuro della memoria per chi intende la musica come dialogo ed esperienza sempre in divenire. Suoni guidati da una condivisa intelligenza emotiva che i suoni espandono fino a fare del pubblico e dei musicisti un unico organismo pulsante. Sono suoni estatici che sebrano adatti a indurre una trance mistica. Chiunque abbia avuto la fortuna di ascoltare dal vivo il flauto bansuri di Pandit Hariprasad Chaurasia sa bene cos’è l’estasi.
Parla con voce smeraldina il pianoforte e si fa capire senza alcuna mediazione. Quello che deve esprimere non potrebbe essere detto in altro modo. Che non sia una banalità lo ribadiscono il contrabbasso e le pelli di Zeno de Rossi. Ancora una volta, la musica è un linguaggio che non va capito nell’accezione letterale del termine, così come non deve essere per forza compreso, ma va prima di tutto ascoltato e poi “sentito”. Le frasi soffiate da Colonna nel suo legno lo confermano. Ottaviano ha il grande carisma di fare da tramite e da interprete tra i linguaggi dei suoi musicisti, costruendo un discorso di mediazione, compartecipazione e perfetto dialogo nel quale il logos riprende l sua originaria funzione di “legame” tra le cose e non di sapere ordinatore che discrimina tra di esse. E’ quella Grazia di cui già parlava Coltrane.
C’è anche un Be bop veloce che Colonna sa rendere ruvido e tagliente con un assolo ad un passo dalla pura astrazione di una bellezza minerale che Ottaviano cesella e ritaglia fino a calarla nuovamente in una dimensione più terrena e piana mentre la concretezza della batteria sagoma e squadra i suoi tempi talmente “certi” da sembrare astratti.
Si cambia ancora direzione in un compendio d’ispirazioni che in questo caso sembrano andare nella direzione della musica più disseminata e d’improvvisazione. E’ soprattutto il pianoforte a guidare questa scritta nei suoni d’apertura. La ritmica non si fa certo pregare e asseconda questa fuga in avanti garantendo le retrovie. L’archetto di Maier struggente e narrativo racconta e descrive e ogni tanto perfino brontola. Queruli intervengono i fiati a concludere.
Gare Guillemans (Misha Mengelberg) Ottaviano mostra più che descrivere, catturando l’attenzione con una teoria di frasi che finisce per distorcere leggermente fino a condurre ad uno shuffle da locale notturno piuttosto equivoco in cui il blues è davvero peccato, esitazione, sudore ed è sempre tutto molto cinematografico, felpato e notturno, quando sembra avere un senso aspettare qualcuno anche se sappiamo benissimo che non verrà.
Ottaviano per rimarcare il clima si esibisce in un piacevolissimo e significativo scat gutturale perfettamente in tema con gli “sbertucciamenti” del clarinetto fino a diventare un richiamo jungle.
Ohnedaruth (Ottaviano) Un assolo di batteria che serve da perfetto appoggio all’entrata del contrabbasso e del piano per una prospettiva avant-garde che ricorda i momenti migliori del quartetto di Coltrane + Dolphy; non è per nulla un’esagerazione, siamo di nuovo vicini ad una forma musicale che sembra un’orazione, un rendere grazie al mistero dal quale siamo abitati, una corsa a perdifiato che si fa stando fermi ad ascoltare, non porta da nessuna parte, ma ci toglie il fiato, per un istante non siamo più noi anche se non siamo ancora tutto, proprio come dicono le dita di Giovanni Maier sfidando la tensione delle corde del suo strumento.
Camino das Aguas (Rodrigo Maranhao) : Ottaviano rivolgendosi ancora al pubblico ribadisce che con il tempo ha imparato “l’economia delle parole” e quanto sia importante centellinarle facendone risuonare a lungo i significati. Lo stesso si potrebbe dire dei suoni che è necessario “sentire” con il cuore.
La collaborazione con la cantante brasiliana Selma Hernandes è stata per lui di cruciale importanza anche per avvicinarsi ad alcuni autentici misteri dell’Amazzonia e del Latin Jazz.
Una metafora naturale molto viva in quelle culture è quella del “Cammino delle acque”, secondo la quale ognuno cerca e trova il proprio cammino. E’ un percorso dalla sorgente della vita che mira a trovare il proprio fiume interiore che poi sfocia nel mare dell’esperienza. Tutto questo in perfetta fusione con l’ambiente naturale che ci abita.
Anche grazie alla sua meravigliosa diversità naturale, il Brasile ha potuto sviluppare un’enorme ricchezza di tradizioni culturali e musicali insieme.
Maier durante il brano batteva con la bacchetta da batteria sulle sue corde e le fruste di De Rossi sulle pelli ci facevano credere di star scivolando sulle acque con una canoa talmente fragile e leggera che sembrava di volare fendendo la superfice trasparente come un veloce uccello che beve in volo sfiorando il fiume.
Il batterista toccava i tamburi anche con i polpastrelli sigillando un concerto straordinario la cui recensione può essere chiusa soltanto con i versi tratti dal poema The Ages (I secoli) del grande poeta americano William Cullen Bryant (1794-1878), cantore delle bellezze naturali del continente nord-americano, dai quali la “famiglia in Jazz” di Ottaviano prende il nome:
Look on this beautiful world, and read the truth In her fair page; see, every season brings New change, to her, of everlasting youth; Still the green soil, with joyou living things, Swarms, the wide air is full of joyous wings, and myriads, still, are happy in the sleep of ocean’s azure gulfs, and where he flings The restless surge. Eternal Love doth Keep In his complacent arms, the earth, the air, the deep. |
Guarda questo bellissimo mondo e leggi la verità
Nella sua bella pagina; vedi ogni stagione porta
Nuovo cambiamento per lei dell'eterna giovinezza;
Ancora il suolo verde con esseri viventi gioiosi
Sciami, l'aria ampia è piena di ali gioiose
E miriadi sono ancora felici nel sonno
Dei golfi azzurri dell'oceano e della sabbia dove si getta
L'impennata irrequieta. L'eterno amore continua
Nelle sue braccia compiacenti la terra, l'aria, il profondo. -
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Flaviano Bosco / instArt 2024 ©