La diciannovesima edizione della rassegna Musica in Villa si è conclusa a Mereto di Tomba negli spazi di Casa Someda de Marco. L’estate interessante e intensa e piena di bella musica che la manifestazione ha proposto è stata suggellata nel migliore dei modi dalla briosa e fresca esibizione di due giovanissime musiciste che all’apparenza non hanno nulla in comune tra loro e non potrebbero essere più diverse.

La pianista lituana, pittrice e fotografa, minuta e riservata, sembrava quasi imbarazzata durante il concerto anche se padrona di una tecnica piuttosto solida; la valchiria francese al sax era, al contrario, del tutto estroversa, sciolta e a suo agio forse perché abituata al combattimento sui ring di boxe thailandese che pratica per passione.

L’acronimo AkMi nasconde indicando i loro due nomi Akvilé e Michaud e fuor d’ironia, nonostante l’apparenza, era perfettamente assortito; la dolcezza dell’una stemperava l’aggressività dell’altra in un melange di luce e malinconia molto affascinante.

Casa Someda De Marco è uno dei tanti piccoli gioielli preziosi che il medio Friuli conserva e custodisce gelosamente. Nel piccolo borgo, la casa è quella che vide impegnato nei suoi studi e nelle sue ricerche Carlo Someda de Marco, grande studioso della cultura friulana, storico, archeologo, poeta e a lungo curatore dei civici musei di Udine. Di tanto in tanto, grazie alla disponibilità e alla cura dei suoi familiari e discendenti, la Casa viene aperta al pubblico che così può godere di un patrimonio di certo privato ma che appartiene alla storia e alla memoria di tutti i friulani.

La visita guidata all’abitazione dello studioso che, a distanza di cinquant’anni dalla morte, conserva intatti gli ambienti a lui più cari, l’anticamera e lo studio con la ricchissima biblioteca “domestica”, ha permesso agli intervenuti di entrare davvero nella sua intimità familiare. Non è una casa museo, ma un luogo vissuto in tutto e per tutto dove abitano da sempre la figlia e la nipote, generose ed ospitali. Visitarlo è un’esperienza fin troppo unica, che provoca perfino una sorta di vertigine e di disagio; sembra quasi di invadere indiscretamente uno spazio del tutto personale e riservato, profanandone la memoria.

In uno dei suoi racconti più riusciti, divertenti e magici Angelo Floramo racconta, in modo onirico, di una sua visita notturna all’antichissima Tùmbare (Tumulo) che da il nome a Mereto. Nelle campagne a poca distanza dal piccolo borgo si è miracolosamente conservata una delle testimonianze archeologiche più antiche e significative della protostoria friulana e Carlo Someda De Marco è stato proprio uno di quegli archeologi che hanno permesso di approfondire le indagini su quel sito così singolare.

Una piccola montagnola di terra e di pietre vigila e protegge da quaranta secoli il corpo di un giovanissimo principe nomade. La tomba a tumulo per millenni è stata un luogo di culti arcaici ed agrari legati presumibilmente alla transumanza o a riti di fertilità. Un sito magico e misterioso dalle potenti energie vitali e ctonie. Rivolgendosi al proprio compagno di viaggio nel cuore della notte, ad un certo punto scrive: Lo senti? È il respiro della Dea. La madre, l’amante archetipica, Gea, gravida di una vita misteriosa, che ci circonda mentre andiamo lasciandoci inghiottire dal buio: frusci, battiti d’ali improvvisi, richiami strozzati nelle fratte. Fremiti d’insetti.

Sono proprio questi rumori che si sono trasformati in seducenti suoni e lievi atmosfere attraverso gli strumenti delle due appassionate musiciste

È una proposta insolita quella di un sax alto che dialoga con un pianoforte. Non certo inedita ma poco frequente, che poi a suonare fossero due giovanissime musiciste ha reso l’esibizione di una preziosa rarità. L’apprezzato intento del programma della serata è stato quello di far conoscere i vari aspetti della musica scritta per sassofono. Se generalmente conosciamo o millantiamo di conoscere la tradizione afroamericana relativa a quello strumento, dimentichiamo colpevolmente le tante meravigliose pagine scritte per ancia da compositori che, molto spesso, non avevano niente in comune con il Blues o con il jazz e che se ne guardavano.

Molti di loro, parafrasando il Poeta: facevano come se Charlie Parker e John Coltrane non fossero, perché li avevano preceduti o si rifiutavano di considerarli degni d’ascolto. Naturalmente, non sono mancati nemmeno quelli che invece al jazz si sono ispirati ma che hanno voluto percorrere sentieri molto meno battuti.

Il primo brano eseguito, è stato Chant du Ménestrel di Aleksandr Kostantinovic Glazunov (1865-1936) allievo illustre e blasonato di Rimskij Korsakov che a propria volta divenne celebre formò una generazione intera di musicisti tra i quali Dmitrij Sostakovic. Dopo le prime note l’atmosfera si è fatta subito elettrica e attenta grazie alla brillante interpretazione della Michaud.

Il brano, composta originariamente nel 1900 per violoncello e pianoforte (op.71) è stato eseguito in una recente, riuscita trascrizione per sax contralto che forse perde un po’ del triste e romantico languore che lo caratterizzava ma che acquista in fascino e piacevolezza. Del resto il sassofono e il violoncello se non interscambiabili sono due strumenti perfettamente compatibili.

È stata poi la volta della Sonata per sassofono e pianoforte di William Albright (1944-1998) il compositore americano che studiò con Olivier Messien e che ebbe una straordinaria passione per il Ragtime e che cercò di creare un dialogo tra queste sue due straordinarie influeze. Di particolare riguardo uno dei movimenti della sonata: La follia nuova un lamento dedicato a Giorge Cacioppo (1927-1984) un grande compositore americano di evidenti origini italiane, con gravi problemi neurologici e psichiatrici che fu sottoposto a molti cicli di trattamenti d’electroshock distruttivi ma che conservò una grande creatività e interiore libertà.

La Pequena Czarda di Pedro Itturalde (1929) è stata interpretata in modo allegro, spiritoso e spericolato come nel più classico degli stereotipi della musica iberica risultando comunque di gradevolissimo ascolto. L’autore è uno dei sassofonista spagnoli tra i più considerati, ha sempre voluto che le diverse etnie e tradizioni culturali si mescolassero anche attraverso la musica ed ha lavorato a lungo all’avvicinamento tra jazz e flamenco).

È seguita la Sonata per viola e orchestra di Paul Hindemith, chiaramente in un suo adattamento. Le due musiciste hanno dimostrato un’importante ed elaborata tecnica strumentale e grande freschezza e empatia con il pubblico. Hanno rivelato una deliziosa cortesia e disponibilità perfettamente adatte alla felice informalità dello spazio di Casa Someda nel quale si sono esibite, che è stato ricavato dalle vecchie stalle e dal fienile e trasformato in un luogo ideale d’ascolto con un semplice ma scenografico tetto di travi d’abete a vista e muri in sasso e mattoni.

Dietro al pianoforte faceva bella mostra di se una rastrelliera per attrezzi agricoli (forche, zappe, badili, seghe, scope, picconi) di grande impatto scenografico. Simbolicamente faceva il paio con quella, di diversa nobiltà, che campeggia su una parete dello studio di Someda e che raccoglie una ventina di antiche spade. L’effetto era particolare e straniante. Nel finale del brano di Hindemith si era già evidenziata una qualche difficoltà della sassofonista con il proprio strumento. Infatti, la meccanica dei tasti faceva le bizze; cinque minuti di pausa con il sorriso sulle labbra. Il tempo di sostituire il sax e poi il concerto è ripreso con ancora più grinta.

Si snodano gli ultimi brani con reminiscenze jazz arabeggianti Per concludere un canonico, generoso bis sulle arie della Carmen di Bizet. Calorosi meritati applausi. Brave!

Il poeta e cineasta Alejandro Jodorowsky ha dichiarato recentemente: Per equilibrare la tragedia amazzonica propongo un atto psicomagico. Il sette settembre (il sette è il numero più attivo e settembre porta il “se” della semina) ogni essere umano cosciente pianti un albero, o lo semini. In qualsiasi località gli sia possibile.

Su iniziativa della direttrice artistica, l’instancabile Gabriella Ceccotti, durante i sedici incontri della rassegna Musica in Villa 019 sono state distribuite gratuitamente ottocento piantine d’albero di varie essenze fornite dal vivaio regionale. Gli spettatori di volta in volta se le sono accaparrate e a volte anche bonariamente contese.

Se nella peggiore delle ipotesi, anche solo la metà di quegli alberelli attecchirà e si svilupperà, vorrà dire che, in questi mesi d’estate, la musica è riuscita a piantare un intero bosco di discrete dimensioni. È un atto concreto che guarda al futuro con speranza e con la gioia di condividere con gli altri la gioia che sanno regalare solo lo stormire delle foglie e l’ombra del sottobosco. Quello sarà un bosco risonante, diffuso e rigoglioso: il bosco di Gabriella.

© Flaviano Bosco per instArt