Forse ci vuole molta più follia che coraggio a far incontrare sullo stesso palco uno dei tenor sassofonisti jazz più eclettici e versatili d’Europa e un ensemble di alchimisti della musica in levare. E’ successo ad Azzano X (PN) al teatro Mascherini in una serata di pioggia battente di fine ottobre. I Caraibi potevano sembrare davvero dall’altra parte del mondo per quanto riguarda le coordinate geografiche, mentre per l’anima e il cuore era la Giamaica in tutta la sua luce.
Poteva venire in mente solo a Luca A. d’Agostino, deus ex machina di Estensioni Jazz club diffuso, abituato a portare la musica più sperimentale e ammaliante nei luoghi più imprevedibili del nord Italia, convinto che non esistano confini che non possano essere attraversati e barriere tra i generi che non debbano essere abbattuti.
La musica intesa solo come ornamento e intrattenimento è buona forse solo per i supermercati e per le sale d’attesa dei dentisti, con tutto il rispetto per l’Ambient Music che, come ci ha insegnato Brian Eno, può essere di altissimo livello.
Francesco Bearzatti senza ombra di dubbio è uno dei sassofonisti italiani più innovativi e attivi, il suo Tinissima Quartet ha regalato alla scena musicale contemporanea deliziose gemme che non brillano solo per le indubbie qualità compositive ed esecutive, ma si distinguono anche per una coerenza e militanza sociale e politica.
Lo stesso si può dire per Wicked Dub Division (Michela Grena: voce; GP Ennas: batteria; King Claudio: basso; Massimiliano Pic: Dub Live Set), l’ensemble che da due decenni percorre i sentieri delle battute in levare in giro per i festival del mondo, con un particolarissimo suono ipnotico, dilatato e urbano che non dimentica la sua dimensione sociale rivendicando i diritti dei più umili e dei dimenticati.
Entrambi sanno divertirsi, far sognare e danzare. Straordinario l’incontro della Wicked Dub Division con la North East Ska Jazz Orchestra così come il progetto di Bearzatti sui Led Zeppelin (Post-Atomic Zep).
Il progetto “Jazz my Dub”, che ha visto la sua prima apparizione in pubblico al teatro Marcello Mascherini, è un’unione d’ingegni e non poteva che portare ad un risultato sulfureo e mercuriale che ha conquistato fin dai primi accordi o meglio fin dalle prime vibes. A questo punto, visto l’immediato successo della proposta, è auspicabile un’incisione che fissi tutte le idee sonore e le grandi emozioni scaturite dall’incontro.
Il Dub è una derivazione del Reggae che ne rallenta originariamente (anni ’60-’70) i ritmi sostituendo il cantato con tastiere e suoni d’ambiente per poi, con il progredire della tecnologia elettronica, aprirsi ai suoni sintetici e digitali. Molto, soprattutto nei cosiddetti Sound System dei pionieri del genere, veniva lasciato all’improvvisazione, in un melting pot sonoro di grande suggestione paragonabile al procedimento che fa sgorgare il jazz dagli strumenti e dai cuori.
Il sax tenore di Bearzatti, in modo efficace, misurato e discreto, senza mai sovrastare i suoi compagni d’avventura, ha saputo tessere stranianti suggestioni utilizzando i filtri della sua pedaliera collegata a tutte le diavolerie elettroniche possibili, regalando alla sua ancia un suono mistico, profondo e spirituale, ma che sa anche essere materico e granulare. Il suo naturalmente non è stato un semplice accompagnamento o affiancamento, ha saputo fondere i propri suoni con quelli della band in perfetta osmosi.
Per le orecchie più attente, uno dei brani presentava dei samples relativi all’introduzione della monumentale e purtroppo di stretta attualità “Luglio, Agosto, Settembre nero” degli Area visto il genocidio in corso del popolo palestinese.
Ad essere citata è l’invocazione alla pace che introduce il brano, nella quale un’implorante voce femminile, in arabo, scongiura il proprio compagno di lasciare la guerra e tornare da lei.
“Lascia le armi e vieni a vivere amore mio, e la pace sarà su di noi. Voglio che tu canti, amore mio e la tua ricchezza sarà la pace”.
A parte i ritmi, le atmosfere in slow motion, down-tempo e il dub live set, la vera differenza nel sound del gruppo la fa l’incantevole e straniante voce di Michela Grena che sa interpretare, contenere e dirigere l’energia che si sprigiona dalla band. Le sue intonazioni veicolano un sentimento e delle emozioni chiare e cristalline. A volte sa dare voce a profondi, incomparabili dolori come quelli che gridano contro la Diaspora dei popoli dell’Africa, la violenza contro le donne e tutte quelle contro le persone dimenticate e umiliate da un sistema economico del tutto schiavista come il nostro.
E’ tipico dello stile Dub associare un parlato cantilenante alle percussioni con una diretta derivazione dagli autentici racconti in musica della tradizione dei griots dell’Africa sub sahariana, se a questo uniamo effetti di riverbero e di eco.
Sia il Jazz, sia il Reggae nelle loro varie accezioni sono la sublimazione in musica dello straziante grido di dolore che si levava dalle navi negriere e dai campi dove gli africani, rapiti dalle loro case e venduti dall’altra parte dell’Atlantico, erano condannati a subire le angherie e le fruste dei loro padroni, in Louisiana così come nei Caraibi, alla periferia di Kinshasa come in una qualsiasi delle nostre opulente città d’Occidente.
Quell’antico lamento continua ad echeggiare nelle musiche d’improvvisazione e denuncia lo stato di vergognosa ipocrisia delle nostre sedicenti democrazie che, nascondendosi malamente dietro il paravento di ideali cui nessuno bada più davvero, continuano a fomentare guerre in tutto il mondo e a sfruttare ignobilmente i propri fratelli.
Michela Grena accenna ad un certo punto dell’esibizione nel brano “New Slavery” alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che all’art. 4, ingiunge: “Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma”.
Tra le immagini emblematiche della recente alluvione di Bologna, la quarta in un anno che colpisce l’Emilia Romagna, ci sono quelle dei Rider costretti alle consegne a domicilio proprio mentre il diluvio si scatena sulla città.
Non ci vuole molto a comprendere che questi, come milioni di altri cosiddetti “precari”, vivono in una condizione di vergognosa schiavitù, come tutti quei braccianti condannati al sole del tavoliere delle Puglie per la raccolta degli ortaggi che vivono in baraccopoli. Tristemente celebri quella di Borgo Mezzanone a pochi chilometri da Foggia e quella di Rignano Garganico.
Per renderci conto di quanto tutti siamo coinvolti nella nuova tratta di esseri umani basta che controlliamo i paesi di produzione delle nostre sneakers e dei nostri abiti; le etichette parlano chiaro e anche le condizioni di lavoro cui sono sottoposte milioni di persone.
L’esperimento di fusione tra il suono del sax di Bearzatti e quelli della WDD ha contribuito a disegnare con i suoni un’atmosfera rarefatta e sognante che non ha mai nemmeno pensato di cedere allo scontato sentimentalismo o all’eccesso di previdibilità. Una parte del merito va sicuramente a Massimiliano Pic che ha saputo scavare nei suoni digitali e nelle seduzioni elettroniche dei suoi synth, donando massima profondità ai suoni e quel senso “elettrostatico” di sospensione così tipico del genere.
La nuova agile compagine ha dimostrato di avere una grande energia e creatività, spianando la strada per nuove collaborazioni e intersezioni non solo a livello musicale.
Possiamo salutare in queste note e in questa unione di straordinario talento una nuova prospettiva musicale con uno splendido futuro.
Togheter We are One!
Scaletta: Bird in Hand, We are one, Freedom, Drop in the Ocean, Rejoice, Observe, New Slavery, Ubuntu, Perseverance
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