La 26° edizione di Jazz&Wine of Peace si è da poco conclusa in un crescendo di emozioni di un’intensità inaudita. La manifestazione si è aperta verso il futuro con una serie di iniziative che rilanciano la scommessa in musica fatta tanti anni fa da ragazzi pieni di speranza e passioni straordinarie di cui la Regione era ricca.
Per fortuna, non erano gli unici allora ad immaginare un domani fatto di jazz, ebrezza e pace, ma sono oggi tra i pochi rimasti in un mondo asservito alla cupidigia, al tornaconto personale e al disprezzo dei più elementari diritti umani.
In questi ultimi mesi siamo passati da un orrore all’altro quasi convincendoci che sia inevitabile e che il mondo è sempre andato così, “non è colpa nostra”, “non ci possiamo fare niente”, “un po’ se la sono cercata”, sono queste le orribili frasi che, da ipocriti farisei, ci ritroviamo più spesso sulle labbra.
Qualcosa invece si può davvero fare e lo si può fare anche con l’arte. Nel caso particolare ci vengono in soccorso alcune considerazioni di quel grande intellettuale che è Moni Ovadia e che sono state ricordate anche da uno dei palcoscenici di Jazz&Wine of Peace da Patrizio Fariselli che celebrava i 50 anni di una delle pietre miliari della musica d’avanguardia europea: “Arbeit Macht Frei”.
Il grande attore italo-bulgaro ha dichiarato: “Io per formazione e per convinzione sto sempre dalla parte degli oppressi. In questo caso gli oppressi sono il popolo palestinese mentre l’oppressore è il governo israeliano. Chi è convinto del contrario e starnazza nei talk show si faccia un tour nei territori occupati”.
Se a qualcuno non fossero chiari i principi di pace e di spirito di fratellanza che sostengono da quasi tre decadi il festival, basta che rifletta semplicemente sul claim pubblicitario della Cantina produttori di vino di Cormòns che da sempre intreccia le sue note con i sapori del jazz: “Il 9 aprile 1986 le prime bottiglie del Vino della Pace partirono da Cormòns destinate ai Capi di Stato del Mondo. Un messaggio di amicizia e fratellanza universale, impreziosito ogni anno dalla mano di artisti di fama internazionale. La Cantina Produttori Cormòns rappresenta una realtà unica per i suoi numerosi progetti, dove cambiamento e tradizione si uniscono per dare vita a un prodotto originale, mantenendo il legame con il territorio e diventando esso stesso Custode dell’Armonia.
Il progetto ha ripreso forza e vigore, rinnovato dall’estro dell’inconfondibile stile italiano della moda. Il Vino della Pace nasce dalla selezione delle migliori uve, scelte con sapienza e passione, le cui note aromatiche ed olfattive sembrano quasi le note musicati di un inno alla gioia.
La gioia conviviale dello stare insieme.
Già dal 1985 le bottiglie, a serie di tre, vennero illustrate da grandi pittori e i primi furono Zoran Music, Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj. Da quel momento, seguendo un progetto di valorizzazione straordinario, ogni anno il miracolo di unire pace, arte e vino ai massimi livelli si arricchì di testimonial d’eccezione.
Firmarono le etichette, tra gli altri, Dietman, Minguzzi, Fiume, Consagra, Celiberti, Manzù, Sassu, Fini, Vedova, Anderle, Rauschenberg, Corneille, Treccani, Nagasawa, Tadini, Ceroli; anche Dario Fo e Yoko Ono, si sono cimentati nell’impresa, fino alla creazione di un’originale e unica Galleria permanente d’opere d’arte d’alto livello, che lega per sempre e indissolubilmente l’arte con il più nobile dei prodotti della terra. Il tutto, nato e realizzato a Cormòns.”
La Pace non ha colori perchè li contiene tutti, non ha parti perchè riguarda ognuno.
Patrizio Fariselli Plays Area, 50th Anniversary of “Arbeit Macht Frei” Patrizio Fariselli (pianoforte, tastiere) Claudia Tellini (voce) Marco Micheli (basso elettrico) Walter Paoli (batteria) Stefano Fariselli (sax soprano, flauto traverso, clarinetto basso)
Da molti anni “Area Open Project” porta sui palcoscenici di tutto il mondo la forza, gli ideali e la bellezza di quel progetto musicale nato tanti anni fa che non si è per nulla esaurito e che continua ad aver molto da dirci attraverso la forza della musica.
“Arbeit macht frei” del 1973 è un disco epocale e innovativo che ha mezzo secolo ma che sembra scritto oggi per la sua urgenza di denuncia politica e grido di libertà.
Cinquant’anni e per alcune cose non sembra essere cambiato proprio niente. Le solite “facce sporche di paura” e, in tutto il mondo, altri milioni di “bambini che il vento ha ridotto già a vecchi”. La solita crudele e corrotta gerontocrazia che si nutre del sangue di tutti noi.
L’attesa esibizione che ha riempito il rinnovato teatro comunale di Gradisca è iniziato con Claudia Tellini che cantava in lingua greca, in verità, “sovrastata” da qualche iniziale piccolo problema d’amplificazione. Il sound complessivo corrispondeva a quello di un localaccio dell’angiporto di Atene dove si beve forte e si suona il rebetico dal fortissimo retrogusto di anice, in un clima orgiastico e fumoso come in un romanzo di Petros Markarīs.
Patrizio Fariselli con le sue tastiere evoca il suono del bouzuki e l’aulos, il flauto greco legato al mito di Marsia. Secondo il mito il satiro raccolse il particolare flauto di canne creato da Atena dopo aver sentito il terrificante grido delle Gorgoni. Con lo strumento sfidò Apollo che però finì per scorticarlo vivo.
Stefano Fariselli al flauto traverso ha sospinto tutti verso quella “Danza del Labirinto” che, come racconta il pianista, nascosta nella tradizione folklorica ellenica “si collega ai riti orgiastici della fertilità, che nelle sue convoluzioni spiraliformi richiama la divinazione che si praticava scrutando le viscere degli animali”.
Raggiunto l’acme attraverso i ritmi di Paoli e Micheli, il brano si è trasfigurato “esplodendo” in “Cometa rossa” dal repertorio degli Area, una delle composizioni più emozionanti della musica italiana, così intensa e assoluta da non temere alcun confronto.
Tellini, con la sua voce di rara intensità, non cerca alcun confronto con quella di Stratos che ha marcato un’epoca. La cantante aretina ha carattere ed espressività propri che la rendono unica e che regalano al brano prospettive del tutto nuove.
Questa è stata solo l’introduzione di un concerto che fa parte del tour nel quale per la prima volta in cinquant’anni si celebra ed esegue integralmente “Arbeit macht frei”, capolavoro senza pari della musica d’avanguardia europea. Gli Area, in formazione classica, ne avevano suonato dal vivo solo alcuni brani tra molte contestazioni e vere e proprie censure.
Per l’occasione, la scaletta dell’album originale è stata rivoluzionata e i brani riarrangiati, ma l’impatto è ancora straordinario e impressionante.
Si è cominciato con una versione appena più dolce e jazzata di “Consapevolezza” che ha visto protagonista il pianoforte e il clarinetto basso dei due fratelli Fariselli. Nel disco originale il clarinetto basso era suonato dal compianto Victor Edouard Busnello. Stefano Fariselli è in seguito passato al sax soprano trasformando fino a far scomparire l’anima più rock e intransigente del brano tramutandolo in una suadente ballad non meno incisiva del brano dell’album.
L’assolo è stato classico e venato di fusion tanto da reggersi quasi solo sulla ritmica. A nessuno dei presenti, nemmeno per un momento, è venuto in mente che si trattasse di una cover, perchè era chiaro che Fariselli e i suoi complici ogni volta non ripropongono pedissequamente, ma reinterpretano e arricchiscono qualcosa che gli appartiene pienamente.
Prima di eseguire il pezzo che da il titolo al disco, Fariselli ha tenuto a precisare la tragica ironia di una frase di pace che in origine alludeva all’idea socialista dei principi dell’emancipazione e della libertà attraverso l’uguaglianza nel lavoro, trasformata nel concetto e nelle pratiche dell’orrore assoluto dei campi di sterminio nazisti.
Se non rimaniamo vigili e consapevoli, anche gli ideali più solidi e democratici finiscono per trasformarsi in strumenti di oppressione e perfino di genocidio, proprio come sta accadendo in questi giorni in Palestina dove le vittime si tramutano in carnefici e la giustizia si chiama strage.
Walter Paoli è stato magistrale con le sue percussioni nel riproporre l’inquietante introduzione ai limiti del rumorismo. Il suo è stato un solo “narrativo” di straordinaria forza che finisce per ricordare le esplosioni di un bombardamento che fa deflagrare l’angoscia che porta con se. Su questo “disastro” si è innestato il riff spettrale del basso di Micheli a cui si è aggiunto il suono acido del flauto di Fariselli, prezioso, ossessivo e ossessionante anche al sax soprano. Il risultato complessivo è stato quello di una suite assolutamente mercuriare, cui il piano di Fariselli si è espresso in tutta quella brillantezza di cui dicevamo.
Gli Area hanno candidamente ammesso che non hanno mai saputo cosa ci fosse a “240 chilometri da Smirne”. Certo doveva esserci qualcosa di davvero interessante visto che anche senza conoscerlo ha ispirato un brano dai ritmi esoterici di una bellezza rigogliosa e incontenibile che fa risaltare il grande talento alle ance di Stefano Fariselli e di Micheli al basso elettrico sempre pulito ed intrigante, senza eccessive distorsioni o legnose “slappate” anche perchè suona tutto a pizzico.
Come se non bastasse anche il clarinetto elettronico fa la sua parte in un duello amichevole con le tastiere di grandissimo effetto in cui a vincere è assolutamente il pubblico che gode del piacevole scambio.
“L’abbattimento dello Zeppelin” è fatto di variazioni sopra il niente di due note, costruito su quel poco che può dare un senso ad un’intera vita. Proprio a partire da questo brano Stratos cominciò a esplorare le proprie immense capacità vocali per costruire qualcosa di inaudito che andasse al di là del suo già stupefacente “recitar-cantando”. Il pezzo era stato concepito come una bordata contro lo star system e lo show business che in quegli anni gloriosi era rappresentato dai Led Zeppelin. Abbattere il dirigibile del Capitale sembrava ed è ancora davvero l’azione più sensata, un contrabbasso può essere un’arma molto efficace come hanno ribadito gli Area in tutti questi anni.
“Dicono tutti che è colpa mia”, la cantante lo sussurra in un crescendo magmatico e atmosferico che la porta perfino a “tossirne” i versi, come a voler espellere un demone che le stringe la gola in una parentesi di teatro-canzone molto incisivo.
E’ seguita una scintillante versione di “Le labbra del tempo” che ha fatto luce ancora a tutte quelle “facce sporche di paura che si nascondono nel buio” che avvampa solo degli incendi dei bombardamenti.
Prima che risuonassero le note di “Luglio, agosto, settembre nero”, la canzone di pace e di lotta che ha segnato indelebilmente la vita di più di una generazione di militanti per la risoluzione pacifica del conflitto in Palestina, Patrizio Fariselli ha voluto chiarirne intenti e ispirazione visto che in questi giorni la censura politica e dei media deforma e avvilisce ogni tentativo di dialogo. Quando si è indecisi su quale parte prendere e, come diceva Gramsci, è proprio necessario essere partigiani, la scelta deve cadere sempre sugli oppressi.
Perchè non ci fossero dubbi sul momento attuale uno spettatore ha appoggiato con reverenza e rispetto una Kefiah interpretando il pensiero di tutti e lo spirito della canzone.
A ribadirlo la famosa intro con una poesia recitata in arabo da una voce femminile: “Con la pace ho cancellato i mari di sangue, per te. Lascia la rabbia, lascia il dolore, lascia le armi, vieni e viviamo o mio amato e la nostra coperta sarà la pace…e il tuo canto sarà per la pace, fallo sentire al mondo o cuore mio”.
Lacrime e tantissimi applausi nel finale; gioia mista a dolore e silenzio in fondo ai cuori per tutti i fratelli che soffrono le ingiustizie e i soprusi di un mondo che rischia di affogare nel proprio stesso sangue.
(continua)
© Flaviano Bosco – instArt 2023