Fin dalle primissime edizioni la rassegna, che si svolge nell’ampio cortile dell’antica Abbazia di Sesto al Reghena, ha abituato il proprio attento pubblico a quanto di meglio propone la scena internazionale non propriamente mainstream; dalla musica elettronica più sofisticata e astratta, all’indie-rock italiano, ai folk singer più lisergici e psichedelici, senza dimenticare la musica atmosferica e di ricerca, ma anche le radici post-punk e wawe dei suoni contemporanei. Tutto questo si è tradotto negli anni in una lunga serie di coinvolgenti esibizioni che restano nel cuore di tantissimi appassionati di tutte le età.
In questa edizione, a parte la qualità artistica come sempre elevatissima, l’organizzazione ha voluto riservare ai propri ospiti alcune sorprese che sono risultate molto gradite. La prima è l’area food e relax in Piazzetta Burovich collegata con l’area spettacoli dov’è stato possibile prepararsi piacevolmente alle esibizioni tra “chiacchiere, birrette e carnazza” per poi meritarsi la necessaria decompressione chill-out nel dopo concerto utilizzando i medesimi elementi con l’aggiunta magari del DJ set di una delle solite, onnipresenti flessuose modelle.
Nello stesso festoso “spazio sociale” denominato “Sexto Lounge” era anche possibile visitare l’intrigante mostra: “Sexto art lovers. Progetto artistico visuale/esposizioni”. Tra i vari artisti presenti vanno ricordati di certo Luca Gasparini e Tomas Marcuzzi-Uolli che sono stati gli ideatori di tutto il progetto grafico che ha contraddistinto la rassegna nel 2023 caratterizzato da particolarissime elaborazioni di immagini naturalistiche. Come raccontava la locandina: “Il risultato è una natura fagocitata e trasformata in linguaggio digitale attraverso un gioco visivo di quadrati dai colori fluo che tremano, vibrano, dondolano e pendolano, esattamente come gli elementi naturali retrostanti…La natura produce stimoli infiniti, immagini e suoni che, se tradotti e rielaborati, possono portare lo spettatore in un meraviglioso altrove, e questo altrove si chiama Sexto ‘Nplugged”.
Meritano almeno un accenno le affascinanti Maschere di Phil (Filippo Perin) confezionate con il cartone delle scatole di scarpe di famosi marchi sportivi “Ogni sua opera non è replicabile per scelta. L’assenza di progettualità contraddistingue i suoi ultimi lavori. Tutto viene creato di getto per non seguire schemi che ne limitino lo sviluppo”.
Di grande effetto anche la serie di disegni e opere grafiche di Stefano Tesei intitolata “Sugo d’ombre” associata alla playlist “Pane, maionese e 4 uova” che “racchiude un po’ la mia identità pesarese da mangiatore di pizze Rossini (pizza tipica di Pesaro con uova sode e maionese)”. Arte pura tanto da sembrare una farneticazione dadaista e sia detto senza alcuna ironia.
Esplosiva esibizione, tutt’altro che acustica, di uno dei power trio più ruvidi, esplosivi e potenti della scena italiana. Proprio nei giorni in cui i Melvins, loro punto di riferimento di sempre, sono in tour in Italia, i Verdena dimostrano ancora una volta di quanta energia sono capaci. Dopo l’uscita del loro ultimo lavoro “Volevo Magia” osannato da critica e pubblico, hanno voluto giustamente prendersi gli applausi che gli spettano di diritto suonando nei palazzetti dello sport e in arene estive.
Non hanno più bisogno di paragoni con nessuno; dopo 20 anni e 7 album in studio, un migliaio di concerti, hanno acquisito la maturità giusta per dire e “chissenefrega” degli altri. La strada che hanno tracciato è fiammeggiante e incandescente, il loro sound è sempre più abrasivo, senza compromessi.
In un panorama musicale “italiota” miserabile e sconsolante, i Verdena rappresentano un’enorme forza tellurica che va al di là degli schemi e delle etichette di e dei generi. Alberto Ferrari, Roberta Sammarelli e Luca Ferrari sono dei dinamitardi come sono sempre stati, la punta di diamante di una scena alternative che davvero esiste, ma che sarà sempre refrattaria alle briglie del sistema che ciclicamente vuole ingabbiarla, omologarla, mummificarla.
E’ vero che in qualche modo sono i figli “degeneri” di quella grande scuola del post-punk italiano che tanto ha dato alla musica nostrana, i loro primi passi discografici sono stati sostenuti, non a caso, da Giorgio Canali, ma è anche vero che i Verdena hanno saputo scavarsi un percorso in piena libertà senza dimenticarsi di vivere nel frattempo. Di certo non sono una band che guarda solamente al mercato, i sette anni intercorsi fino alla pubblicazione dell’ultimo album ne sono una testimonianza. Nel frattempo ci sono state nuove esperienze per ognuno di loro, altre vite e una nuova generazione di ragazzi è cresciuta e si è avvicinata alla loro musica.
Prima di proseguire, val la pena di ricordare almeno l’esperienza solistica di Luca Ferrari con i Dunk, quartetto d’attitudine punk da un solo disco (fin ora) ma dalle incredibili potenzialità che ha infuocato i palcoscenici d’Italia per il breve battito di ciglia di una stagione. Chi scrive li vide al Locomotiv di Bologna in un concerto sulfureo e davvero indimenticabile.
La voce diventa strumento modulato, distorto, straziato in quelle che molto spesso appaiono come laceranti urla disanimate piene di rabbia e anche di disgusto. I versi si confondono e il loro significato è importante tanto quanto il loro suono in una sorta di onomatopea disumana e mercuriale. Frasi spezzate ripetono attimi che sembrano sospesi e ingrati proprio come la vita.
I Verdena hanno piena consapevolezza dell’impatto dirompente della loro musica che raggiunge la giusta temperie disturbante solo nelle esibizioni live. Il loro rapporto con i suoni è eminentemente fisico e assolutamente frontale a partire dai violentissimi colpi sulla batteria che sono autentiche bastonate che contribuiscono ad un suono denso, maturo e davvero solido decisamente più stoner che grundge. I tre musicisti bergamaschi sul palco sono affiancati anche da un tastierista, Carlo Maria Toller, che aggiunge quel tanto di varianti psichedeliche ed elettroniche che rendono ancora più oscuro e noise il suono della band.
Il fitto pubblico di Sexto ‘Nplugged era decisamente soggiogato da tanta sferzante energia e non erano solo i vecchi fan a dirsi entusiasti, a scalmanarsi erano anche i giovanissimi che il nuovo ottimo album ha guidato verso la magia di un sound abrasivo e fuori ordinanza rispetto alle porcherie veicolate dai social.
L’impatto in alcuni momenti è davvero devastante quasi da schiodare le tavole e scrostare i muri, non c’è altro modo di definire gli effetti del muro di suoni che i musicisti costruiscono mattone dopo mattone con tutta l’intelligenza e la scaltrezza degli artigiani bergamaschi.
Il carattere ruvido, la battuta acida e cattiva, un fare rozzo da indomabili ribelli com’è nella tradizione di quelle valli per strano che possa sembrare si ritrova anche nella loro musica unita ad una malcelata tenerezza che i Verdena rivelano nelle loro ballad più lente, notturne e meste che funzionano soprattutto dal vivo.
Non è certo un discorso campanilistico o peggio provinciale. Certe caratteristiche che ci vengono dai luoghi in cui siamo cresciuti sono una forma di resistenza alla squallida omologazione turbo capitalistica che impera anche nella musica italiana da decenni. Lo squallore e la desolazione che vediamo sui palcoscenici del nostro paese è dovuta anche al fascino perverso di città come Milano e Roma con le loro Corti dei Miracoli di produttori, talent show, esperti di marketing e comunicazione che sono in grado solo di produrre papponi pre-masticati e pre-digeriti da far defecare sul palco in un tripudio di luci e telecamere, in mezzo a miriadi di telefonini accesi che hanno come accessori individui accuratamente decerebrati.
I Verdena sembrano davvero fregarsene di tutto ciò continuando a sputare la loro rabbia, con un atteggiamento schietto, diretto e onesto che non ha intenzione di blandire il pubblico e tanto meno arruffianarselo anche se non risparmiano una goccia di sudore, pestando fino in fondo e concedendosi in lunghi bis.
I suoni selvaggi, tribali e violenti, l’essenzialità nervosa dei riff, la scansione dei brani compatta e convincente, un impianto luci e un’amplificazione all’altezza della situazione che facevano pulsare la musica di colori saturi e intensi dando al palcoscenico un’aura spettrale e violentemente accecante e molto altro ancora, sono stati gli elementi che hanno contribuito a rendere il concerto ferocemente indimenticabile come una cicatrice che non va più via.
Volevamo Magia!…L’abbiamo avuta e ne vogliamo ancora tanta!
Scaletta: Loniterp, Logorrea (esperti all’opera), Paul e Linda, Lui gareggia, Cielo super acceso, Dentro Sharon, Dialobik, Per sempre assente, Chaise longue, Trovami un modo semplice per uscirne, Angie, Fuoco amico II, L’infinita gioia, Isacco, Crystal Ball, Nova, Volvonauta, Sui ghiacciai, Volevo magia. BIS: 40 secondi, Muori delay, Un po’ esageri, Paladini.
© Flaviano Bosco – instArt 2023