Un emozionante concerto ha celebrato solennemente i santi Ermacora e Fortunato, Patroni della città di Udine e della Regione Friuli Venezia Giulia sul sagrato del Duomo Cattedrale di Udine. La FVG Orchestra diretta da Paolo Paroni ha proposto un programma che aveva come cuore la sinfonia n°6 op.68 “Pastorale” di Ludwig van Beethoven.
Tradizione vuole che Ermacora abbia ricevuto la propria consacrazione e istruzione religiosa direttamente dall’evangelista Marco che gli avrebbe consegnato il proprio vangelo autografo, il Verbum santissimo venerato per millenni da tutti i popoli dell’Europa centrale e conservato per lunghi secoli nel monastero di San Giovanni in Tuba, presso le bocche del Timavo, a pochi tratti dal Castello di Duino. Il manoscritto n°4 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele conserva uno dei più antichi Martirologi dei santi Ermacora e Fortunato.
Scrive Angelo Floramo:
Nell’immaginario popolare e folklorico questa figura di grandissimo interesse è particolarmente collegata con i culti e i riti agrari e pastorali, formando con il diacono Fortunato una coppia presente con nomi diversi in numerose altre tradizioni culturali indoeuropee. Un’antica leggenda carnica gli attribuisce…l’invenzione della ricotta, il suo nome viene invocato durante le tempeste, per scongiurare gli effetti disastrosi, e il suo pastorale ricorda molto da vicino il lituo degli auguri, riproposizione della mappa del cielo notturno, strumento utilizzato in chiave sciamanica, nei passaggi solstiziali ed equinoziali.1
Fu il grande patriarca Bertrando di San Genesio a prescrivere le celebrazioni dei santi con canti e balli nella notte tra l’11 e il 12 luglio. Scrive sempre Floramo: Una notte magica, ipnotica, di fuochi e tamburelli, in cui la morte avrebbe danzato insieme alla vita: i muti avrebbero riacquistato la favella, i sordi l’udito, i ciechi la vista.2
Niente di più adatto alle celebrazioni, quindi, della pastorale di Beethoven concepita e strutturata dal proprio autore, come vedremo in seguito, su elementi figurativi che sembrano sovrapporsi a quelli della tradizione dei due santi friulani.
Già dal pomeriggio, l’angelo dorato della torre del castello di Udine indicava con il vento la direzione del sagrato del duomo e, nella sua splendida imponenza, sembrava deliziato dall’assistere alle prove della FVG Orchestra dalla sua posizione d’assoluto privilegio. Sulla scalinata del duomo era disposto in bell’ordine il ventaglio dei musicisti ed un pubblico di passanti e curiosi assisteva incantato agli accordi.
È uno spettacolo che solo i luoghi aperti dell’estate possono garantire: i bambini vocianti che corrono tra le sedie allestite per l’occasione, gli attenti vigili urbani, i fonici che si affannano per settare gli impianti d’amplificazione, le maschere che continuano a rifare i conteggi dei posti e delle prenotazioni, quelli che chiacchierano biciclette alla mano, le mamme con i bimbi nei passeggini, tutto questo mentre gli archi, i legni e le trombe lucidate s’impegnano a distillare il nettare d’ambrosia degli dei per le orecchie e per il cuore di chi ha davvero voglia di ascoltarli, preparando le succulente portate di note che saranno servite più tardi.
A coordinare tanta ricchezza di suoni e di colori il direttore Paolo Paroni, friulano dai percorsi artistici internazionali, orecchio assoluto, che, oltre alla bravura, ha una presenza scenica che manda in visibilio il pubblico femminile di tutte le età con i suoi movimenti aggraziati e il suo raffinato ciuffo alla Sergiu Celibidache.
L’incanto pomeridiano finisce quando l’organizzazione in ottemperanza alle norme anti covid fa sgombrare la piazza dando appuntamento agli spettatori all’apertura serale dei cancelli con accesso alla platea solo per chi si è prenotato per tempo on line. Ai tanti esclusi respinti non è restato che consolarsi e celebrare i santi con un bel calice o più di quello buono in una delle tante osterie nei pressi.
All’ora prescritta, gremivano i posti a disposizione il signor sindaco della città con gli assessori in pompa magna e poi prelati e autorità le più varie con signore al seguito e naturalmente un folto pubblico cui però mancava la meglio gioventù che raramente si riesce a coinvolgere o a far partecipare spontaneamente a queste manifestazioni.
Tra i discorsi di rito che hanno preceduto il concerto si è fatto notare quello dei rappresentanti sindacali dei lavoratori dello spettacolo che hanno tenuto giustamente a ricordare il grave momento di crisi che il settore sta vivendo anche per le disastrose conseguenze della serrata dovuta al maledetto morbo. Il volto di Fela Kuti stampato sulla maglietta di uno dei rappresentanti significava chiaramente, come diceva l’imperatore dell’Afrobeat: “Niente diplomazia, niente compromessi, niente accordi” solo il giusto riconoscimento del sacrosanto diritto al proprio lavoro. Anche Ermacora e Fortunato sarebbero stati d’accordo.
Finalmente l’orchestra al completo fa il suo ingresso sul palcoscenico all’aperto, tutti con la mascherina d’ordinanza nera, donata da uno sponsor, che fa tanto bandito da assalto alla diligenza come nei film di John Ford e che trasforma tutti i musicisti nei Crazy 88’s di Quentin Tarantino.
Prima dell’esecuzione della celeberrima sinfonia Beethoveniana sono stati presentati due brani di rinomati compositori friulani e, come non si è risparmiato di dire qualcuno durante la presentazione del programma di sala: “Anche qui prima la nostra gente e solo dopo un autore super-internazionale come Ludwig van Beethoven”. Per restare alle citazioni cinefile, in quel momento a qualche spettatore, mal disposto e malpensante come lo scrivente, sono venuti subito in mente Alex e i suoi Drughi dell’Arancia meccanica di Kubrick con le loro dosi di sana ultraviolenza. Ma è stato solo un pensiero fuggevole, come la minaccia di quel nuvolone carico di pioggia del pomeriggio, allontanatosi alle prime luci del pomeriggio sicuramente per intercessione del santo patrono.
L’orchestra s’accorda al violino e subito fa il suo ingresso tra gli applausi il direttore d’orchestra con la sua elegante mascherina da pistolero alla William S. Hart.
Passa subito, veloce e piacevole, il primo brano in aria di sinfonia Per la nobile società apollinea di Leonardo Marzona (Venzone 1773-1852 San Daniele) solo un po’ pomposetto e rossiniano con i suoi insistiti brontolii di trombe.
Di ben altra levatura il Regina Coeli per soli archi di Bartolomeo Cordans (Venezia 1698-1757 Udine) che ha visto l’intervento della soprano udinese Annamaria dell’Oste. Ed è stato subito tutto uno svolazzo di gorgheggi tardo barocchi e mozartiani da Regina della notte.
Sul sagrato di Udine alcuni cagnolini non si sono trattenuti dal partecipare all’ultimo alleluia della soprano e perfino qualche rondone con i suoi versi striduli, sembrava invocare le preghiere e l’intercessione della Regina del Cielo che è sembrata, a propria volta, rispondere con una decisa brezza che spazzava il sagrato provocando un leggero disturbo audio all’impianto d’amplificazione, soffiando nei microfoni un brontolio lontano, quasi un temporalino in ritirata propedeutico all’ultimo movimento della preannunciata e prevista, sinfonia pastorale.
Quando la Dell’oste conclude con un ultimo acuto il suo ultimo Alleluia, una signora del pubblico non si trattiene dal lodare il dono di natura della soprano sovrastando gli applausi con i suoi ripetuti: “Brava! Brava! Alleluia! Alleluia!”
A questo punto l’orchestra s’accorda ancora una volta prima di correre a perdifiato tra le erbe e i prati fioriti della Sesta di Beeethoven, composta e creata per pascere di gioia i cuori di ognuno, pacificando con il suo dolce vento di primavera ogni possibile angoscia.
I suoi freschi ruscelli cancellano anche il ricordo delle nostre cattive azioni e ci benedicono con la limpidezza delle loro acque. I suoi crescendo e gli improvvisi stacchi sono traiettorie inverosimili di uccelli, garruli e felici, che volano nel sole sopra le nostre miserie di quasi tutte pecore e rari giusti pastori che stentiamo a meritarci tanta grazia e tanta gioia.
Beethoven compose la sua sesta sinfonia contemporaneamente e in netta contrapposizione con la quinta e le eseguì insieme in una memorabile serata del dicembre del 1908. Sul frontespizio dello spartito volle scrivere: “Sinfonia pastorale più espressione di sentimenti che pittura” si auspicava così che la sua musica trascendesse la mera descrizione di paesaggi e situazioni per diventare espressione di sentimenti ed emozioni che solo la musica poteva trasmettere.
Com’era tipico del suo carattere irascibile e imprevedibile, volle scientemente contraddirsi proprio in quest’opera che, invece, evoca precisamente ciò che indica perfino nei titoli: una passeggiata in aperta campagna, un ruscello, un rustico ballo di contadini, il rovescio di un temporale e il ritorno del sereno. Questo, naturalmente, non vuol dire che gli aspetti apparentemente descrittivi della musica non nascondano significati ben più profondi, intimi e perfino astratti. Come diceva il grande genio tedesco: Più il ruscello si allarga, più la musica diventa profonda.
Quando dopo poche battute esplode il tema principale della sinfonia in tutta la sua forza naturale, nessuno dei presenti resiste a seguire il tempo con il piede; né le eleganti signore, splendide perfino con la loro mascherina in pendant con l’abito da gran sera, né le unghie laccate nei sandali aperti, né gli inurbani finti giovinastri con le loro sgradevoli sneakers e nemmeno gli assessori e i prelati con le loro scarpe di vernice. Ognuno perso nei “Piacevoli sentimenti che si destano nell’uomo all’arrivo in campagna” allegri ma non troppo.
Si apre poi il lago del cuore alle prime note del secondo movimento nel quale il clarinetto, l’oboe e il flauto traverso hanno un loro primo momento di gloria trasformati rispettivamente in cuculo, usignolo e re di quaglie, uccellini di un bosco incantato che ci guardano felici, appena un po’ increduli, dai rami nascosti.
Si arriva così al terzo movimento con una gran voglia di muoversi e ballare come in un’allegra riunione come quelle di duemila anni di gente nostra campagnola che con le loro danze estive calcavano le assi dei breârs al suono di ciaramelle, mandolini e delle fisarmoniche
Con il terzo movimento si comincia subito a correre a perdifiato alla ricerca di un riparo già quando i primi goccioloni fanno larghi cerchi nelle acque stagnanti e tutte le nostre preoccupazioni sembrano di nuovo essersi addensate sopra di noi in paurose nuvole nere. A perdifiato, a rotta di collo fin quasi a non poterne più, spinti dalla bufera che mai non resta, impauriti dai tuono dei timpani e dai sibili elettrici dell’ottavino di un Temporale che sembra sempre di più una tempesta
È un attimo a perdere la speranza dell’altezza ma ci salva giusto in tempo il clarinetto e un’idea di corni lontani che reintroducono il tema principale, prima che sia troppo tardi, restituendoci lucidità e cadenza così da poter di nuovo passeggiare spensierati e leggeri a cuorcontento, allegretti e guidati da Sentimenti di benevolenza e ringraziamento alla Divinità dopo la tempesta.
Su questo idillio riguadagnato cala simbolicamente il sipario: meritati applausi e lunghi convinti battimani per una delle prime serate pubbliche di musica sinfonica dopo il procelloso temporale dello spaventoso contagio
Come ancora ha sostenuto un grande Amico della musica presente tra il pubblico: “Anche se le condizioni ambientali non erano delle migliori con i cani che abbaiavano, il vento e un po’ di freschetto, è stato davvero bello vedere la gente che dopo tanti mesi di clausura si emozionava per la musica e, in questi frangenti, non c’è niente di più bello del farsi coinvolgere dall’entusiasmo generale. Da tanto ci mancavano sensazioni del genere…ci voleva proprio.”
1Angelo Floramo, Forse non tutti sanno che in Friuli, Newton Compton, Roma 2017, pag. 104 e seg.
2Idem.
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