ALICE T. di Radu Muntean
CONCORSO LUNGOMETRAGGI

La storia di Alice è la storia universale dell’adolescenza. Il desiderio di controllo e la paura, la propensione a camminare su di un filo sottile fra il sogno del bambino e la realtà dell’adulto.
Alice è antipatica e dispotica, capricciosa, bugiarda e manipolatrice. Alice è figlia adottiva di una madre che non sembra sapere come amarla, eppure la ama profondamente. Il film di Muntean la segue mentre, dopo aver scoperto di essere incinta, provoca a se stessa un aborto ingoiando, senza esitazione apparente, delle pasticche acquistate sul web. Alice non ha sensi di colpa. Le sue scelte non sembrano consapevoli, ma dettate da sentimenti superficiali e passeggeri. Solo alla fine la realtà sembrerà prenderla a schiaffi. A conti fatti il film parla di sterilità: sterilità biologica quella della madre, sterilità mentale quella di Alice. E’ un buon film che ha nella parvenza di già visto il suo maggior difetto. Ottima prova per la giovane interprete Andra Guti che ha vinto il Pardo come miglior attrice a Locarno.

KOBARID di Christian Carmosino Mereu
CONCORSO DOCUMENTARI

Il documentario cresce a partire da un’idea forte: raccontare attraverso dei quadri, 45 nella fattispecie, il punto di vista del milite ignoto. Ragazzi e uomini costretti a combattere nei luoghi di quella guerra che verrà poi chiamata Grande. Forte è anche l’idea di messa in scena: alle letture su nero di frammenti tratti dai diari e dalle lettere dei soldati scanditi dalla voce di Alessio Boni e accompagnate da un insistente rumore di fondo, si alternano inquadrature in campo lungo o lunghissimo della Caporetto di oggi in cui poco o nulla sembra muoversi. Nelle parole del regista l’intenzione è quella di creare un contenitore in cui lo spettatore possa tracciare il suo “percorso individuale”. Comprendere attraverso immagini e racconti l’insensatezza della guerra, la sua cronica mancanza di vincitori. Riprodurre l’esperienza di attesa dei soldati in trincea inghiottiti dai propri pensieri mentre le bombe cadono. La stessa durata del documentario tagliato a 100 minuti vuole riagganciarsi ai 100 anni trascorsi dal conflitto.
Ed intellettualmente tutto funziona. Il montaggio dei frammenti è curato ed efficace, in alcuni punti commovente ed intenso. Le letture di Boni intessono un racconto che, di fatto, basta a se stesso. E’ la struttura a risultare troppo esposta. Pesa quella che è, alla fonte, una costruzione troppo definita. Nella ricerca di quel minutaggio perfetto le inquadrature diventano spesso e percettibilmente troppo lunghe, sfrangiate, noiose.
Lo spettatore chiamato in causa, quello stesso spettatore indifferente inquadrato, oggi, da Carmosino nei luoghi del massacro a Caporetto, è quasi incaricato di espiare una colpa. Rivivere un faticoso percorso, scendere nelle trincee, senza ritrovare però, nella “scatola”, l’emozione di quei soldati. E’ nella freddezza sperimentale e nella rigidità architettonica che il progetto alla fine sembra sclerotizzarsi e mancare il suo obiettivo.

L’ora d’acqua di Claudia Cipriani
PREMIO CORSO SALANI

Claudia Cipriani dedica il suo documentario “ a chi sceglie di fluire”. L’obiettivo del film è quello di raccontare la vita dei sommozzatori che lavorano a grandi profondità, principalmente sulle piattaforme petrolifere. Il perno attorno a cui gira la pellicola è il rapporto che lega il sub protagonista, Mauro, amico di famiglia dal carattere sfaccettato, e Milo, il figlio giovanissimo della Cipriani. E’ attraverso i suoi occhi, i suoi giochi, il suo modo di vivere il mare che diviene possibile raccontare le difficoltà di un lavoro che costringe all’isolamento per settimane in camere iperbariche stazionate alle profondità necessarie agli interventi di manutenzione. E’ dalla camera iperbarica che, parlando come Paperino a causa dell’elio respirato, Mauro racconta a Milo e a sua sorella la sua vita sott’acqua. Più delle parole possono le espressioni e gli sguardi che narrano stanchezze e rinunce. Fra le immagini, in particolare in quelle che raccontano la vita fuori dall’acqua, emerge la poesia, la passione che spinge verso questo lavoro usurante. La patina di fiaba d’avventura filtrata da Milo, a cui Mauro insegna ad andare sott’acqua e racconta le storie fantastiche dei primi palombari, scalda il documentario. E’ in questo ritratto “paterno” che trova la sua forza il personaggio di Mauro. Incompleto senza dubbio: lo è lontano dal mare perchè ne sente la mancanza, lo è nella camera iperbarica lontano dai suoi affetti. L’assunzione per il recupero della Concordia sembra essere una svolta, il lavoro che più di ogni altro si avvicina a quello dei “cercatori di tesori” letterari. Lavori, fortunatamente, poco frequenti, ma che portano nella vita di Mauro il sapore del nuovo.
Lo sguardo del film è uno sguardo femminile e deciso. Il documentario descrive un lavoro, che come molti altri, diviene scelta di vita ma, sottotraccia, scorre un altro film, ed è il film di Milo. Lo vediamo correre in mezzo alla strada con il monopattino, lanciarsi giù dalle discese, indossare bombola e maschera per esplorare i fondali. Le immagini di Milo, ci raccontano non solo lui, ma lo stesso Mauro e tutti quelli che come loro posseggono la libertà un po’ selvaggia di chi “sceglie di fluire”.

GLI INDOCILI di Ana Shametaj
PREMIO CORSO SALANI

Montato da Jacopo Quadri che ha raccontato, dopo la proiezione, la difficile gestazione del progetto, è un no budget che si basa sulle belle riprese fatte dalla Shametaj di un laboratorio teatrale organizzato in una casa isolata in mezzo alla natura. Protagonista un gruppo di giovani attori. E’ un documentario anomalo sostenuto dalla musicalità delle poesie scritte da Mariangela Gualtieri, recitate dai ragazzi, che le interpretano e le rivivono sia nelle prove per la messa in scena del regista Cesare Ronconi, sia nel loro vissuto personale. Invitati dalla regista ne recitano dei frammenti interagendo fisicamente con quella natura che diventa, forse un po’ forzatamente, l’altra protagonista della pellicola. Un’opera dal titolo potente, dalla buona atmosfera, che descrive il mondo dell’arte e del teatro. Lontana dalla vita.

Katia Bonaventura © instArt